NUOVA
DISCIPLINA LEGISLATIVA DEL
PART-TIME -
D.LVO 25/2/2000 N. 61
Si
scioglie la riserva formulata con la nota informativa inviata in materia per
illustrare, qui di seguito, i contenuti dal provvedimento in oggetto.
Definizioni
L'articolo
1 del decreto legislativo definisce tempo parziale, l'orario di lavoro
stabilito dal contratto individuale, che sia comunque inferiore all'orario a
tempo pieno.
Per
orari di lavoro a tempo pieno si intende l'orario normale di cui all'articolo
13, comma 1, l. 24 giugno 1997, n. 196 (40 ore settimanali) o l'eventuale minor
orario normale fissato dai contratti collettivi applicati.
Il
lavoro part-time può assumere la forma del part-time orizzontale e del
part-time verticale.
Nel
part-time orizzontale la riduzione è prevista in relazione all'orario
giornaliero di lavoro, nel part-time verticale la prestazione di lavoro è
svolta ad orario pieno ma per periodi limitati nel corso della settimana, del
mese o dell'anno.
E'
possibile combinare le due forme di part-time solo se ciò è previsto dai
contratti collettivi nazionali stipulati dai sindacati comparativamente più
rappresentativi sul piano nazionale, dai contratti collettivi territoriali
stipulati dai medesimi sindacati, dai contratti collettivi aziendali stipulati
dalle r.s.a. di cui all'articolo 19, l. 20 maggio 1970, n. 300 con l'assistenza
dei sindacati che hanno negoziato e sottoscritto il contratto collettivo
nazionale applicato. Gli stessi contratti collettivi determinano le modalità temporali
di svolgimento della specifica prestazione lavorativa ad orario ridotto, nonché
le eventuali implicazioni di carattere retributivo della stessa.
Il
comma 4 dell'articolo 1, ammette che "le assunzioni a termine, di cui alla
legge 18 aprile 1962, n. 230 successive modificazioni, possono essere
effettuate con rapporto a tempo parziale" (orizzontale, verticale o
combinato).
Forma
e contenuto del contratto
Il
decreto legislativo conferma l'obbligo, già previsto dall'articolo 5, l. n. 863
del 1984 della forma scritta.
Nel
contratto di lavoro deve essere contenuta la puntuale indicazione della durata
della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell'orario con
riferimento al giorno, alla settimana, al mese ed all'anno.
All'articolo
2, viene confermato l'obbligo per il datore di lavoro di dare comunicazione
dell'assunzione a tempo parziale alla Direzione provinciale del lavoro
competente mediante invio di copia del contratto entro trenta giorni dalla
stipulazione dello stesso. Il mancato rispetto comporta l'irrogazione di una
sanzione amministrativa pari a l. 30.000 giornaliere per ciascun lavoratore
interessato per ogni giorno di ritardo (art. 8).
L'atto
scritto è richiesto anche per la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo
pieno a tempo parziale. La trasformazione deve essere conclusa su richiesta del
lavoratore con l'assistenza di un componente della r.s.a. o, in mancanza di
r.s.a. nell'unità produttiva, deve essere convalidata dalla Direzione
provinciale del lavoro.
Il
decreto legislativo stabilisce, inoltre, un obbligo per il datore di lavoro di
informare almeno una volta all'anno le rappresentanze sindacali aziendali, ove
esistenti, sull'andamento delle assunzioni a tempo parziale, la relativa
tipologia ed il lavoro supplementare. Sono fatte salve le migliori condizioni
previste dai già menzionati contratti collettivi stipulati dai sindacati
rappresentativi.
Lavoro
supplementare
La
nuova disciplina presenta importanti novità normative in tema di lavoro
supplementare nel part-time orizzontale.
La
disciplina dello svolgimento del lavoro supplementare (identificato
dall'articolo 1, comma 2, lettera b) come quello corrispondente alle
prestazioni lavorative svolte oltre l'orario di lavoro ridotto ed entro il
limite del tempo pieno) prefigurata dallo schema di decreto legislativo,
rimuove solo formalmente il divieto oggi posto dall'art. 5, comma 4, l. n. 863
del 1984.
L'articolo
3, comma 1 del decreto legislativo stabilisce, che il datore di lavoro "ha
la facoltà di chiedere lo svolgimento di prestazioni supplementari".
I
contratti collettivi devono stabilire, per il part-time orizzontale, il numero
massimo di ore supplementari effettuabili in ragione di anno e nella singola
giornata lavorativa, nonché le causali obiettive in relazione alle quali è
consentito richiedere lo svolgimento di lavoro supplementare.
Inoltre,
il decreto legislativo prevede che "l'effettuazione di prestazioni di
lavoro supplementare richiede in ogni caso il consenso del lavoratore
interessato": il rifiuto di svolgere lavoro supplementare non costituisce
motivo di licenziamento o infrazione disciplinare, anche nell'ipotesi in cui si
tratti di lavoro supplementare richiesto nei limiti previsti dal contratto
collettivo.
Un'interpretazione
pedissequa e formalistica della previsione legislativa potrebbe condurre a
ritenere che il legislatore abbia inteso attribuire al lavoratore un diritto di
rifiutare "ad libitum" lo svolgimento di lavoro supplementare. Tale
soluzione sarebbe, peraltro, in contrasto con un consolidato principio
formatosi nel nostro ordinamento giuridico relativamente alla disciplina del
lavoro straordinario secondo cui il consenso del lavoratore allo svolgimento di
prestazioni lavorative eccedenti il normale orario di lavoro straordinario può
risultare acquisita anche attraverso la previsione contenuta nel contratto
collettivo. Attesa la rilevanza della questione, facciamo riserva di successiva
informazione.
In
attesa che i contratti collettivi disciplinino le suddette condizioni il
ricorso al lavoro supplementare è consentito nella misura massima del 10%
dell'orario concordato.
Le
ore di lavoro supplementare svolte entro i suddetti limiti sono retribuite come
ore di lavoro ordinario (salva naturalmente la possibilità per i contratti
collettivi di applicare una maggiorazione sulla retribuzione oraria globale).
Le
prestazioni di lavoro supplementare svolte in misura eccedente quella stabilita
dai contratti collettivi comportano l'applicazione di una maggiorazione del
50%, da computarsi sulla retribuzione globale di fatto, elevabile dai contratti
collettivi.
Il
decreto legislativo stabilisce (art. 3, comma 15) che le clausole dei contratti
collettivi in materia di lavoro a tempo parziale vigenti al momento
dell'entrata in vigore del d.lgs n. 61 del 2000 continuano a produrre effetti
fino alla scadenza o, comunque, per un periodo non superiore ad un anno. Fa eccezione
quanto disposto dall'articolo 3, comma 3 sul consenso del lavoratore.
La
richiesta di lavoro supplementare è consentita nei rapporti di lavoro a tempo
indeterminato. Nei rapporti di lavoro part-time a termine la richiesta di
lavoro supplementare è sempre ammessa nella ipotesi in cui il lavoratore a
termine sia stato assunto in sostituzione di altro lavoratore avente diritto
alla conservazione del posto ai sensi dell'art. 1, comma 2, lettera b) della l.
n. 230 del 1962. I contratti collettivi possono inoltre individuare altre
ipotesi di contratti a termine per le quali il datore di lavoro è autorizzato a
richiedere prestazioni di lavoro supplementare.
Gli
stessi contratti collettivi possono stabilire criteri e modalità per garantire
al lavoratore, su sua richiesta, il diritto al consolidamento nel proprio
orario del lavoro supplementare "svolto in via non meramente
occasionale".
Il
comma 5 dell'art. 3 afferma che nell'ipotesi di part-time verticale è
consentito lo svolgimento di prestazioni lavorative straordinarie in relazione
alle giornate di attività lavorativa. Trova in tal caso applicazione la
disciplina legale e contrattuale in materia di lavoro straordinario nei
rapporti di lavoro a tempo pieno. Si prevede inoltre che, salva diversa
previsione dei contratti collettivi, i limiti annuale e trimestrale stabiliti
dalla l. 27 novembre 1998, n. 409 (250 e 80 ore rispettivamente) siano
riproporzionati in relazione alla ridotta durata della prestazione lavorativa,
nonché nelle altre ipotesi previste dall'art. 1, comma 3 della l. n. 409 del
1998.
Clausole
elastiche
In
materia di clausole elastiche, la nuova disciplina (articolo 3, commi 7 e
seguenti) dispone che il datore di lavoro ed il lavoratore a tempo parziale
possano concordare - anche contestualmente alla stipula del contratto di lavoro
part-time - un patto che autorizza il primo a modificare - previo preavviso non
inferiore a dieci giorni - la modificabilità della prestazione lavorativa. Il
rifiuto del lavoratore di sottoscrivere detta clausola non costituisce motivo
di licenziamento.
I
contratti collettivi determinano condizioni e modalità entro le quali il datore
di lavoro può variare la collocazione temporale rispetto a quella inizialmente
concordata col lavoratore, nonché la misura della maggiorazione retributiva -
da calcolarsi sulla retribuzione globale di fatto - che, sempre ai sensi del
d.lgs., spetta ai lavoratori che accettino la suddetta "variabilità".
Decorsi
cinque mesi dalla prestazione del consenso, il lavoratore può denunciare il
patto anche in presenza di una sola delle seguenti ragioni legate a:
-
esigenze di carattere familiare;
-
esigenze di tutela della salute certificate dal competente Servizio Sanitario
Nazionale;
-
necessità di attendere ad altra occupazione autonoma o subordinata.
I
contratti collettivi possono individuare altre ragioni e determinano i criteri
e le modalità per l'esercizio della possibilità di rinuncia nel caso di
esigenze di studio, di formazione e di famiglia.
Analogamente
a quanto previsto per lo svolgimento di lavoro supplementare, la variabilità
della prestazione è consentita per i contratti part-time a tempo indeterminato.
Per i contratti a termine, è ammessa quando il contratto a termine è stipulato
ai sensi dell'articolo 1, comma 2, lettera b) della l. n. 230 del 1962, ovvero
in altre ipotesi in cui è consentito stipulare il contratto a termine
individuate dai contratti collettivi.
Principio
di non discriminazione
L'articolo
4 del decreto legislativo stabilisce il principio di non discriminazione
affermando che un lavoratore a tempo parziale non può essere trattato in modo
meno favorevole rispetto ad un lavoratore a tempo pieno comparabile.
L'articolo
indica, poi, a titolo esemplificativo, le condizioni di lavoro alle quali trova
"in particolare" applicazione il principio di non discriminazione.
A
tale riguardo, il d.lgs. stabilisce che il lavoratore part-time beneficia dei
medesimi diritti dei lavoratori a tempo pieno comparabili per quanto riguarda i
seguenti istituti:
-
importo della retribuzione oraria;
-
durata del periodo di prova;
-
durata delle ferie annuali;
-
durata del periodo di astensione obbligatoria e facoltativa per maternità ;
-
durata del periodo di conservazione del posto di lavoro a fronte di malattia,
infortuni sul lavoro, malattie professionali;
-
applicazione delle norme di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nei
luoghi di lavoro;
-
accesso alle iniziative di formazione professionale organizzate dal datore di
lavoro;
-
accesso ai servizi sociali aziendali;
-
criteri di calcolo delle competenze indirette e differite previsti dai
contratti collettivi di lavoro;
-
diritti sindacali, ivi compresi quelli di cui al titolo III della l. n. 300 del
1970.
I
contratti collettivi possono provvedere a modulare la durata del periodo di
comporto di malattia e del periodo di prova nel part-time verticale.
Il
principio di proporzionalità si applica, invece ai seguenti trattamenti:
-
importo della retribuzione globale e delle singole componenti di questa;
-
importo della retribuzione feriale;
-
importo dei trattamenti economici per malattia, infortunio sul lavoro malattia
professionale e maternità.
I
contratti collettivi possono stabilire che il pagamento di elementi della
retribuzione in particolare a carattere variabile, sia effettuato in modo più
che proporzionale.
Il
decreto legislativo identifica, poi, il "lavoratore comparabile" in
quello inquadrato nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione
stabiliti dai contratti collettivi.
Tutela
ed incentivazione del part-time
L'articolo
5 del decreto legislativo impone una serie di obblighi in capo ai datori di
lavoro, in primo luogo confermando il diritto di precedenza dei lavoratori a
tempo parziale nelle assunzioni a tempo pieno già previsto dalla precedente
disciplina legislativa (cfr. comma 3 bis dell'art. 5, l. n. 863 del 1984).
Priorità va accordata a coloro che hanno in precedenza convertito il rapporto
da tempo pieno a tempo parziale, a parità di condizione si terrà conto dei
carichi familiari e dell'anzianità di servizio.
Il
diritto di precedenza si applica, peraltro, solo per i lavoratori adibiti alle
stesse mansioni o a mansioni equivalenti. E' stata inoltre, opportunamente
introdotta una limitazione geografica all'ambito territoriale di applicazione
dell'esercizio di tale diritto, prevedendo che il diritto di precedenza in caso
di assunzioni a tempo pieno è riconosciuto ai lavoratori a tempo parziale
occupati presso unità produttive situate entro 100 km dall'unità produttiva
interessata.
Qualora
il datore di lavoro non rispetti l'obbligo di precedenza, è tenuto a risarcire
il danno in misura corrispondente alla differenza tra l'importo della
retribuzione percepita e quella che gli sarebbe stata corrisposta a seguito del
passaggio nei sei mesi successivi.
Il
decreto legislativo pone altresì un obbligo a carico del datore di lavoro nel
caso di nuove assunzioni a tempo parziale di dare tempestiva informazione al
personale dipendente occupato a tempo pieno in unità produttive situate nello
stesso comune. I contratti collettivi possono stabilire le modalità applicative
del principio in questione. Questa può comunque essere fornita anche attraverso
affissione di comunicazione scritta in luogo accessibile a tutti situato nei
locali dell'impresa.
Il
datore di lavoro è altresì tenuto a prendere le richieste di trasformazione del
rapporto da tempo pieno a tempo parziale ed a motivare, su richiesta del
lavoratore, le ragioni di un eventuale rifiuto.
Infine,
il decreto legislativo prescrive che il rifiuto del lavoratore di trasformare
il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale o viceversa non
costituisce giustificato motivo di licenziamento.
Il
comma 4 dell'articolo 5 prevede, peraltro, il riconoscimento - demandato ad un
decreto ministeriale da emanarsi entro trenta giorni dall'entrata in vigore
della nuova disciplina - dei benefici contributivi concessi ai sensi
dell'articolo 7, l. n. 451 del 1994, ai datori di lavoro privati, imprenditori
e non imprenditori e agli enti pubblici economici che effettuino entro il
termine stabilito dallo stesso decreto ministeriale assunzioni a tempo
indeterminato parziale ad incremento degli organici esistenti calcolati con
riferimento alla media degli occupati nei dodici mesi precedenti tale data.
Computo
dei lavoratori part-time
L'articolo
6 del decreto legislativo di attuazione prevede che i lavoratori a tempo
parziale siano computati in proporzione all'orario svolto, rapportato al tempo
pieno.
Desta,
comunque, perplessità la previsione del secondo comma dello stesso articolo 6
che stabilisce la computabilità come unità intera, a prescindere dall'orario
ridotto, dei lavoratori part-time ai soli fini dell'applicabilità del titolo
III dello statuto dei lavoratori (attività sindacale).
Sanzioni
In
tema di sanzioni la nuova disciplina introduce importanti novità in ordine alle
conseguenze del mancato rispetto dell'obbligo di forma scritta, nonché alla
mancanza o imprecisa indicazione di alcuni elementi del contratto.
L'articolo
8 del decreto legislativo stabilisce, infatti, che la forma scritta del
contratto di lavoro a tempo parziale deve intendersi apposta "a fini di
prova".
Ove
manchi la forma scritta, su richiesta del lavoratore, il giudice potrà
dichiarare la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno a
partire della data in cui la mancanza dell'atto scritto sia giudizialmente
accertata fermo restando il diritto del prestatore di lavoro alla retribuzione
dovuta "per le prestazioni effettivamente rese" prima di tale data.
Il
legislatore ha, altresì, precisato che neppure la mancanza o indeterminatezza
nel contratto di tutti o di alcuni degli elementi indicati dall'articolo 2,
comma 2 del decreto legislativo (durata e collocazione temporale) comporta la
nullità del contratto.
Le
conseguenze tuttavia divergono a seconda che l'elemento omesso sia
l'indicazione della durata del contratto o la collocazione temporale della
prestazione lavorativa.
Nel
primo caso, il lavoratore può far dichiarare la sussistenza di un rapporto di
lavoro a tempo pieno "a partire dalla data del relativo accertamento
giudiziale" e gli spettano le retribuzioni dovute per le prestazioni
svolte, nonché un emolumento determinato dal giudice a titolo di risarcimento
del danno.
Nel
secondo caso, il giudice provvede a determinare le modalità temporali di
svolgimento, prendendo quale parametro le previsioni dei contratti collettivi
in materia di "clausole elastiche" o, in mancanza, secondo equità.
Resta comunque fermo il diritto del lavoratore al pagamento delle prestazioni
effettuate ed al risarcimento del danno.
Misure
previdenziali
Sul
piano previdenziale, il decreto legislativo conferma le previsioni del vigente
articolo 5, l. n. 863 del 1984.
In
particolare, vengono confermate:
-
le modalità di determinazione della retribuzione minima oraria da assumere come
base di calcolo dei contributi previdenziali dei lavoratori part-time, nonché
dei premi per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali;
-
le disposizioni in materia di assegni per il nucleo familiare;
-
le modalità di determinazione della retribuzione tabellare ai fini
dell'assicurazione infortuni;
-
le modalità di calcolo dell'anzianità lavorativa ai fini della determinazione
dell'ammontare del trattamento di pensione nei casi di trasformazione del
rapporto di lavoro da tempo pieno in tempo parziale. (per intero e pro quota
rispettivamente).
Verifica
E'
stato previsto, infine, che entro il 31 dicembre 2000 il Ministero del lavoro
proceda ad una verifica con le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e
dei lavoratori, degli effetti prodotti dal decreto legislativo, con particolare
riguardo alle previsioni in materia supplementare, anche ai fini dell'esercizio
del potere legislativo delegato di cui all'articolo 1, comma 4 della l. 5
febbraio 1999, n. 25 (Quest'ultima disposizione prevede che il Governo possa
emanare, entro due anni dall'entrata in vigore della legge delega e nel
rispetto dei principi e criteri direttivi da essa fissati, disposizioni
integrative e correnti dei decreti legislativi già emanati in attuazione della
stessa delega.