INDICAZIONI OPERATIVE RELATIVE
ALL’APPLICAZIONE DELLA NORMATIVA CONTRO I RITARDATI PAGAMENTI NELLE TRANSAZIONI
COMMERCIALI TRA P.A. E IMPRESE
Si fa
seguito a quanto già pubblicato sul n. 1 del Notiziario 2013, per fornire
ulteriori indicazioni circa l’applicazione della normativa contro i ritardi nei
pagamenti nelle transazioni commerciali tra Pubblica Amministrazione e imprese.
Si ricorda,
infatti, che sulla Gazzetta Ufficiale n. 267 del 15 novembre 2012, è stato
pubblicato il decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192 recante “Modifiche al
decreto legislativo 9 ottobre 2002, n.231, per l’integrale recepimento della
direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle
transazioni commerciali, a norma dell’articolo 10, comma 1, della legge 11
novembre 2011, n.180”.
Con tale
decreto, il Governo ha esercitato la delega conferita dal Parlamento con la
Legge sullo Statuto delle imprese (L.180/2011) e disposto l’integrale
recepimento della nuova direttiva europea sui ritardati pagamenti (2011/7/UE)
la quale, come recentemente riaffermato dalla Commissione Europea, riguarda
tutti i settori, compreso quello dell’edilizia. Di conseguenza, le nuove regole
sui pagamenti si applicano anche al settore dei lavori pubblici.
Le nuove
disposizioni riguardano sia i contratti tra imprese e Pubbliche Amministrazioni
che i contratti tra imprese e si applicano ai contratti sottoscritti a partire
dal 1° gennaio 2013.
Si
propongono di seguito gli approfondimenti in parola.
Ambito di
applicazione
Le nuove
disposizioni trovano applicazione per ogni pagamento effettuato a titolo di
corrispettivo in una transazione commerciale.
L’ambito di
applicazione della normativa è limitato alle sole “transazioni commerciali” per
le quali sia previsto il pagamento di un “corrispettivo”.
La
disciplina, pertanto, non si applica in via generale alle obbligazioni
pecuniarie, ma solo a quelle che costituiscono il corrispettivo di una
“transazione commerciale”.
Ai sensi
dell’art. 2, comma 1, lett. a) del Dlgs 231/2002 e s.m.i per “transazioni
commerciali” devono intendersi: “i contratti, comunque denominati, tra imprese
ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via
esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazioni di servizi contro
il pagamento di un prezzo”.
Sotto il
profilo soggettivo si evidenzia che l’art. 2, comma 1, lett. c) riporta una
definizione di “imprenditore” più ampia di quella contenuta nell’art. 2082 cod.
civ. Pertanto è imprenditore “ogni soggetto esercente un’attività economica
organizzata o una libera professione” non essendo richiesti per la relativa
qualifica i requisiti della professionalità e la finalità di produzione o
scambio di beni o servizi.
In tale
nozione sono ricompresi anche i lavoratori autonomi e i liberi professionisti
qualora si sia in presenza di una “transazione commerciale” come sopra
definita.
Relativamente
alla normativa nel settore privato si sottolinea che la stessa trova
applicazione nei soli casi in cui entrambe le parti contrattuali rivestano la
qualifica di “imprenditore”.
Nel caso,
quindi, ad esempio il committente sia un privato non troverà applicazione la
disciplina contenuta nel Decreto Legislativo citato (es condominio).
Con
riferimento alla nozione di pubblica amministrazione, il decreto legislativo
precisa che le nuove norme si applicano ai contratti sottoscritti con le
amministrazioni aggiudicatrici, così come definite nell’art. 3 del Codice dei
Contratti Pubblici (d.lgs n.163/2006), nonché con tutti gli altri soggetti che
svolgono attività per le quali sono tenuti al rispetto della disciplina sui
contratti pubblici.
Si tratta in
sostanza di tutti i soggetti indicati dagli artt. 32 e 207 del Codice dei
Contratti Pubblici, ovviamente per le attività per le quali si applicano le
norme del codice stesso sulle procedure di gara. In particolare si richiama
l’attenzione sui privati titolari di permesso a costruire che realizzano opere
di urbanizzazione a scomputo degli oneri concessori. Ad essi si applica la
disciplina del D.lgs. n. 231 relativa ai rapporti tra amministrazioni e imprese
solo nei casi in cui debbano affidare le opere con procedure ad evidenza
pubblica (opere di urbanizzazione secondaria e opere di urbanizzazione primaria
di importo superiore alla soglia comunitaria). Quando invece non sono tenuti
alle gare, come nel caso di opere di urbanizzazione primaria sottosoglia, agli
eventuali rapporti con i propri contraenti si applicano le norme del D.lgs. n.
231 che regolano i rapporti tra imprese.
Sotto il
profilo oggettivo la normativa si applica a tutti quei contratti in cui
l’oggetto riguardi la “consegna di merci” o la “prestazione di servizi”.
Nei rapporti
tra imprese e pubblica amministrazione la nozione di transazione commerciale
comprende tutti i contratti comunque denominati che comportino, in via
esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro
il pagamento di un prezzo. In tale fattispecie rientrano in particolare gli
appalti pubblici di lavori ed i contratti di partenariato pubblico privato nei
casi in cui sia previsto anche un prezzo come parte del corrispettivo.
Le
esclusioni
L’art. 1,
comma 2, del Dlgs 231/2002 e s.m.i prevede espressamente alcune esclusioni per:
- i debiti
oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore, comprese le
procedure finalizzate alla ristrutturazione del debito (quest’ultima previsione
è stata aggiunta dal D.Lgs 192/2012);
- i
pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno, compresi i pagamenti
effettuati a tale titolo da un assicuratore.
Il D.Lgs.
192/2012 ha eliminato tra le esclusioni previste la richiesta di interessi
inferiori a 5 euro.
Si ritiene,
inoltre, che la normativa non si applichi in tutti i casi in cui siano previste
forme di pagamento diverse rispetto alla somma di denaro (es. permuta) o
l’oggetto si risolva ad esempio in un rapporto tipizzato in altro modo
(contratti di noleggio).
Tutela degli
interessi collettivi
In base al
decreto legislativo n. 192/2012, le associazioni di categoria degli
imprenditori presenti nel CNEL sono legittimate ad agire, a tutela degli
interessi collettivi, richiedendo al giudice competente di accertare la grave
iniquità delle condizioni generali concernenti il termine di pagamento, il
saggio degli interessi moratori o il risarcimento per i costi di recupero e di
inibirne l’uso nonché di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli
effetti dannosi delle violazioni accertate. Sul tema, ma limitatamente ai
contratti tra imprese, si segnala anche che, con l’entrata in vigore delle
disposizioni previste dalla Legge sullo Statuto delle imprese, sono stati
recentemente rafforzati i poteri dell’Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato (c.d. “Antitrust”).
Termini di
pagamento nei contratti tra imprese e pubblica amministrazione
Pur in
assenza di un’espressa correzione della normativa di settore, l’applicazione
del decreto legislativo 9 novembre 2012, n.192 ai lavori pubblici comporta
alcune modifiche alla disciplina settoriale definita dal Codice dei Contratti
Pubblici e relativo regolamento di esecuzione ed attuazione.
Infatti le
nuove disposizioni sui termini di pagamento e interessi moratori vanno
armonizzate con le disposizioni regolamentari che disciplinano il procedimento
per i pagamenti degli acconti e della rata di saldo.
Occorre
pertanto verificare in via interpretativa quali disposizioni siano da
considerare abrogate tacitamente dal D.Lgs. 192/2012 e in che modo il loro
contenuto venga sostituito dalla nuova disciplina.
A tali fini
vengono in considerazione l’art. 4, comma 2, del D.lgs. n. 231/2002, come
modificato dal D.lgs. n. 192/2012, che stabilisce per i pagamenti il termine di
trenta giorni decorrenti, secondo le circostanze, dalla data della prestazione
dei servizi (rectius lavori) ovvero dalla data di ricevimento della fattura o
dalla data della verifica della prestazione, ed il comma 6 dello stesso
articolo, secondo cui, quando è prevista una procedura diretta ad accertare la
conformità dei servizi al contratto, essa non può avere una durata superiore a
trenta giorni dalla data della prestazione del servizio.
Inoltre
occorre tenere presente la disposizione finale (art. 11, comma 2) secondo cui
restano salve le disposizioni del codice civile e delle leggi speciali che
contengono una disciplina più favorevole per il creditore.
In sostanza,
dunque, la nuova normativa prevede un termine di trenta giorni per la verifica
delle prestazioni effettuate ed un termine di altri trenta giorni per le
operazioni di pagamento.
Nel sistema
delineato dal regolamento la verifica della conformità della prestazione al
contratto, che si esplicita essenzialmente nella verifica della conformità dei
lavori eseguiti al progetto, viene effettuata progressivamente, ai sensi
dell’art. 185, dal direttore dei lavori che li certifica sui libretti delle
misure in contraddittorio con l’esecutore e li riporta successivamente sul
registro di contabilità. Rispetto a tale attività di verifica, che, come detto,
si svolge in modo progressivo, l’emanazione dello Stato Avanzamento Lavori
(SAL) assume un carattere ricognitivo (art. 194 reg.).
La fase di
verifica si conclude con il rilascio da parte del responsabile del procedimento
del certificato di pagamento che costituisce l’atto di liquidazione del credito
(art. 195 reg.). In base all’art. 4, comma 6 del D.Lgs. n. 231 tutta la fase
sopra descritta non può avere una durata superiore a trenta giorni dalla data
della prestazione e cioè dalla data in cui dalla contabilizzazione risulta che
i lavori hanno raggiunto l’importo contrattualmente previsto per il pagamento.
Pertanto si ritiene che il termine di quarantacinque giorni indicato dall’art.
143 del regolamento vada sostituito con quello di trenta giorni indicato dal
D.lgs. n. 231.
Quest’ultima
disposizione, peraltro, prevede la possibilità che un termine diverso sia
espressamente concordato tra le parti e previsto nella documentazione di gara,
purché non sia gravemente iniquo per il creditore.
Si ritiene
tuttavia che un temine più elevato per la fase di verifica sarebbe
ingiustificato e dunque iniquo per il creditore, giacché, come visto, la
verifica relativa alla conformità al progetto dei lavori eseguiti è effettuata
in modo progressivo dal direttore dei lavori e sostanzialmente esaurita nel
momento in cui i dati vengono riportati sul registro di contabilità e da questo
viene estratto lo stato di avanzamento lavori, mentre le operazioni di verifica
effettuate dal responsabile del procedimento si sostanziano essenzialmente
nella richiesta del DURC.
Il secondo
periodo dell’art. 143, 1° comma del regolamento prevede un termine di trenta
giorni, e perciò coincidente con quello previsto dal D.lgs. n. 231, per
l’ordinazione del pagamento (emissione del mandato), decorrente dalla data di
emissione del certificato di pagamento.
La nuova
disciplina fa decorrere, invece, il termine dalla emissione della fattura che
normalmente si pone a valle del certificato di pagamento. Tuttavia si ritiene
che in questo caso rimanga in vigore la previsione del regolamento in quanto
più favorevole per il creditore, secondo quanto dispone il già ricordato art.
11, comma 2 del D.lgs. n. 231.
Infine, al
comma 2, dell’art. 143 del regolamento, anche il termine di 90 giorni dal collaudo
provvisorio, previsto per il pagamento della rata di saldo dietro presentazione
di garanzia fideiussoria, dovrà considerarsi sostituito con quello di trenta
giorni di cui al D.lgs. n. 231.
Si ritiene,
inoltre, che anche il termine di 6 mesi entro i quali effettuare le operazioni
di collaudo e il termine di 3 mesi per l’emissione del certificato di regolare
esecuzione, previsti dall’art. 141 del D.Lgs 163/2006, debbano intendersi
abrogati e sostituiti nel termine di trenta giorni per la loro effettuazione.
La nuova
normativa prevede inoltre che le parti (pubblica amministrazione ed impresa)
possano pattuire un termine diverso da quello di trenta giorni, ma in ogni caso
non superiore a sessanta giorni, quando ciò sia giustificato dalla natura o
dall’oggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua
conclusione (art. 4, comma 4 D.Lgs. n. 231).
In base al
decreto legislativo, nella tipologia di contratti per i quali un termine di 60
giorni appare giustificato rientrano tutti i contratti con enti pubblici che
forniscono assistenza sanitaria e tutti i contratti con imprese pubbliche
tenute al rispetto dei requisiti di trasparenza delle relazioni finanziarie tra
gli Stati membri e le loro imprese pubbliche, indipendentemente dall’oggetto
del contratto, e quindi anche per l’esecuzione di lavori.
Tuttavia non
si ritiene che tali deroghe siano possibili nel nostro ordinamento, dal momento
che la disciplina speciale del regolamento prevede unicamente il termine di
trenta giorni per l’emissione del mandato di pagamento ed essendo dunque più
favorevole al creditore dovrebbe essere fatta salva ai sensi dell’art. 11.
Questa
interpretazione è del resto assolutamente aderente allo spirito della direttiva
comunitaria che esprime un chiaro favor per il pagamento a trenta giorni dalla
prestazione.
La
disposizione di cui al citato art. 4, comma 4, sembra pertanto applicabile
esclusivamente a contratti aventi oggetti diversi dall’esecuzione dei lavori
(fatti salvi i lavori appaltati da soggetti che operano nei settori speciali,
ai quali, in linea di principio, non si applica il regolamento) e comunque
entro i ristretti limiti previsti dalla direttiva.
Interessi
moratori
La nuova
normativa introduce anche nuovi indennizzi per le imprese in caso di ritardato
pagamento della Pubblica Amministrazione. Le Pubbliche Amministrazioni
debitrici sono infatti tenute a corrispondere interessi moratori su base
giornaliera ad un tasso di interesse pari al tasso applicato dalla Banca
centrale europea alle più recenti operazioni di rifinanziamento all’inizio del
semestre (pari allo 0,75% nel primo semestre 2013), maggiorato dell’8%; ciò,
senza che sia necessaria la costituzione in mora e quindi sin dal 1° giorno di
ritardo.
Il tasso di
riferimento viene comunicato dal Ministero dell’Economia e Finanze mediante
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana nel quinto
giorno lavorativo di ciascun semestre solare (il comunicato relativo al periodo
1° gennaio-30 giugno 2013 è stato pubblicato sulla G.U. n. 14 del 17 gennaio
2013).
Alla luce
della nuova normativa sono da ritenersi abrogati i commi 2 e 3 dell’art. 144
del regolamento.
Il comma 2
prevede, alla scadenza dei termini stabiliti per il pagamento effettivo della
rata di acconto, la decorrenza degli interessi corrispettivi al tasso legale
per un periodo di sessanta giorni e, in caso di ritardo ulteriore, la
corresponsione dal sessantunesimo giorno degli interessi di mora al saggio
stabilito annualmente con decreto interministeriale (il più recente decreto ha
fissato al 5,27% la misura degli interessi moratori per il periodo 1°
gennaio-31 dicembre 2012). Il comma 3 dello stesso articolo prevede la
corresponsione degli interessi corrispettivi al tasso legale per sessanta
giorni per la ipotesi di ritardo del pagamento della rata di saldo e la
successiva corresponsione degli interessi moratori, in caso di ritardo
ulteriore.
In sostanza,
dunque, la nuova disciplina, relativamente al pagamento degli acconti e del
saldo, elimina la corresponsione degli interessi corrispettivi al tasso legale
e fa scattare subito, dal primo giorno di ritardo, gli interessi moratori ad un
tasso assai più elevato di quello previsto dalla normativa previgente. Ciò
dovrebbe costituire un efficace deterrente nei confronti di inerzie della
amministrazione appaltante ed in ogni caso costituisce un ragionevole
risarcimento forfettario del danno causato dal ritardato pagamento.
Merita
particolare attenzione l’ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 144 in commento,
relativa al ritardo nell’emissione del certificato di pagamento per causa
imputabile alla stazione appaltante. In tal caso si prevede la decorrenza degli
interessi corrispettivi al tasso legale per sessanta giorni e, in caso di
ritardo ulteriore, la decorrenza degli interessi moratori nella misura
stabilita dal cennato decreto interministeriale.
Anche questa
disposizione deve ritenersi abrogata dalla nuova disciplina. Infatti, se è vero
che il D.Lgs. n. 231/2002, come modificato dal D.Lgs. n. 192/2012, nel fissare
un termine di trenta giorni per la fase di verifica della prestazione (che,
come detto, culmina con l’emissione del certificato di pagamento), non prevede
alcuna conseguenza nel caso che il termine non venga rispettato, è tuttavia da
ritenere che tale lacuna possa essere colmata in via interpretativa applicando
la previsione sulla decorrenza degli interessi moratori stabilita espressamente
per l’ipotesi di mancato pagamento nei termini.
Una diversa
interpretazione, che lasciasse priva di conseguenze la mancata effettuazione
nei termini di attività propedeutiche al pagamento, condurrebbe alla situazione
paradossale di impedire il verificarsi della circostanza (ossia la mancata
adozione del mandato di pagamento nei termini) da cui la nuova normativa fa
discendere la corresponsione degli interessi, con ciò eludendo la finalità
della normativa stessa.
È perciò da
ritenere che anche la mancata adozione del certificato di pagamento entro il
termine di trenta giorni dall’esecuzione dei lavori comporti la corresponsione
degli interessi moratori nella misura stabilita dal D.lgs. n. 231.
Conseguentemente,
non resta in vigore neppure il comma 4 dell’art. 144 del regolamento che fa
riferimento al decreto annuale sulla misura del saggio degli interessi di mora.
È infine da
ritenersi modificato dalla nuova normativa, per la parte relativa agli
interessi conseguenti al ritardo nel pagamento degli acconti e della rata di
saldo, anche il 1° comma dell’art. 133 del codice dei contratti pubblici
(D.Lgs. n. 163/2006).
Il decreto
legislativo n. 231/2002 specifica che gli interessi moratori decorrono senza
che sia necessaria la costituzione in mora dal giorno successivo alla scadenza
del termine di pagamento. Rimane perciò fermo il principio stabilito dall’art.
142 del regolamento che esclude la necessità di apposite domande o riserve e
precisa che l’importo degli interessi per ritardato pagamento viene computato e
corrisposto in occasione del pagamento immediatamente successivo a quello
eseguito in ritardo.
Risarcimento
delle spese di recupero
In caso di
ritardo della P.A., le imprese creditrici hanno anche diritto, salva la prova
del maggior danno, ad un risarcimento forfettario di un importo pari a 40 euro.
Responsabilità
del debitore
Gli
interessi moratori sono corrisposti al creditore solo se il ritardo nel
pagamento è dovuto a colpa dell’amministrazione appaltante per cui l’art. 3 del
D.lgs. n. 231 specifica, riprendendo i principi del Codice Civile, che il
debitore può svincolarsi dal pagamento degli interessi stessi se dimostra che
il ritardo è dovuto a causa a lui non imputabile.
Si ricorda
che secondo la giurisprudenza e l’Autorità di Vigilanza non costituisce causa
di forza maggiore, tale perciò da escludere l’imputabilità del ritardo
all’amministrazione, la mancata tempestività dell’ente finanziatore nel mettere
a disposizione le risorse finanziarie, non potendosi far ricadere sul terzo
contraente le conseguenze di fattori organizzativi dell’amministrazione stessa.
Quanto
all’incidenza del patto di stabilità interno sull’imputabilità dei ritardi nei
pagamenti, si ricorda che l’articolo 9 del DL 78/2009, in materia di
tempestività dei pagamenti da parte delle Pubbliche Amministrazioni, prevede
l’obbligo, per le pubbliche amministrazioni stesse, di adottare le opportune
misure organizzative per garantire il tempestivo pagamento delle somme dovute
per somministrazioni, forniture ed appalti ed evitare la formazione di debiti
pregressi. In particolare, il funzionario che adotta provvedimenti che
comportano impegni di spesa ha l’obbligo di accertare preventivamente che il
programma dei conseguenti pagamenti sia compatibile con i relativi stanziamenti
di bilancio e con le regole di finanza pubblica (il Patto di stabilità interno).
Sul punto si ricorda infine che la violazione dell’obbligo di accertamento
comporta responsabilità disciplinare ed amministrativa. Pertanto, quando il
ritardo nei pagamenti sia dovuto al mancato rispetto degli obblighi di cui
sopra, è da ritenere imputabile all’amministrazione.
Clausole
gravemente inique
L’art. 7
dispone la nullità delle clausole relative al termine di pagamento, al saggio
degli interessi o al risarcimento per i costi di recupero quando risultano
gravemente inique in danno del creditore.
Secondo le
regole del codice civile la nullità non colpisce l’intero contratto e la
clausola nulla viene automaticamente sostituita dalla disposizione di legge.
Sulle
circostanze che consentono di considerare le clausole inique e sulla
rilevabilità da parte del giudice della loro nullità si rinvia a quanto detto
nella parte 4^ del documento in relazione ai contratti tra imprese.
Gli aspetti
specifici che rilevano nei contratti tra imprese e amministrazione pubblica
riguardano innanzitutto il fatto che in questo ambito le parti non hanno
discrezionalità nel fissare i termini di pagamento e dunque l’eventuale
scostamento da quello fissato per legge determina di per sé la nullità della
clausola con relativa iscrizione automatica del termine di legge, indipendentemente
dal giudizio sulla iniquità della stessa.
In secondo
luogo, il comma 5 dello stesso articolo 7 prevede un’ipotesi specifica per i
contratti in cui è parte una pubblica amministrazione, sancendo la nullità
della clausola che predetermina o modifica la data di ricevimento della
fattura.
Infine, si
ritiene che siano da considerarsi gravemente inique le clausole che prevedono,
anche nei bandi di gara, tempi dilazionati (oltre i termini indicati dal D.Lgs.
n. 231/2002 come modificato dal D.lgs. n.192/2012) per il pagamento dei lavori
realizzati per motivi legati all’applicazione dei vincoli di finanza pubblica,
con particolare riferimento al Patto di stabilità interno. E ciò per le
considerazioni espresse al precedente punto d) relativo alla responsabilità del
debitore.
Subcontratti
dell’appaltatore
I contratti
stipulati dall’appaltatore contraente della pubblica amministrazione per
l’esecuzione dei lavori sono contratti di diritto privato e dunque ad essi si
applicano le disposizioni del decreto legislativo che regolano i rapporti
contrattuali tra imprese di cui al paragrafo 4 del presente documento ed in
particolare ai punti 4 e) e 4 f).
Si ricorda,
peraltro, che per quanto riguarda i subappalti ed i contratti di fornitura con
posa in opera i termini contrattuali di pagamento devono tener conto
dell’obbligo dell’appaltatore di trasmettere alla stazione appaltante le
fatture quietanzate del subappaltatore e fornitore-posatore entro venti giorni
dal pagamento della rata di acconto.
***
Si segnala
che il Ministero dello Sviluppo Economico ha diffuso la nota del capo di
Gabinetto n. 1293 del 23 gennaio 2013, che chiarisce e conferma l’applicabilità
del D.Lgs. 231/2002, come modificato dal D.Lgs. 192/2012, anche al settore dei
Lavori pubblici. La nota in parola sarà pubblicata sul sito internet del
Collegio Costruttori in calce alla presente comunicazione.
Da ultimo,
si ricorda che il testo coordinato del D. Lgs. 231/2002 è stato pubblicato sul
Notiziario n. 1 dell’anno in corso.