LL.PP. - 1) IL MANCATO
FINANZIAMENTO DI UN ENTE TERZO NON GIUSTIFICA IL MANCATO PAGAMENTO
ALL’APPALTATORE - 2) LA MODALITA’ DI
CONTEGGIO DEGLI INTERESSI E’ QUELLA DEL D.LGS. 231/2002 E NON QUELLA DEL
REGOLAMENTO - 3) I SAL DEVONO ESSERE
EMESSI ENTRO 30 E NON 45 GIORNI
(Deliberazione Corte dei Conti - sez. regionale di controllo per la
Puglia 14/3/2013 n. 53)
1. E’ da ritenersi del tutto irrilevante, al fine della configurabilità
della responsabilità della stazione appaltante, il ritardo nella corresponsione
del finanziamento da parte dell’Amministrazione/ente erogatore, essendo
quest’ultimo soggetto terzo rispetto al rapporto contrattuale che si instaura
tra stazione appaltante (nel caso di specie il Comune) e ditta appaltatrice;
l’ente appaltante, all’atto dell’affidamento dei lavori alla ditta, assume nei
suoi riguardi l’obbligo contrattuale diretto, e la sussistenza di un rapporto
di finanziamento con soggetti terzi rimane del tutto avulso, e di conseguenza
ininfluente, dalla causa del contratto. L’eventuale clausola che subordinasse
la corresponsione del corrispettivo alla ditta appaltatrice al ricevimento del
finanziamento, o ancora escludesse la maturazione di interessi a favore
dell’appaltatore per effetto di ritardi da parte dell’ente finanziatore negli
accrediti di rate di finanziamento, è da considerare nulla, perché in contrasto
con la normativa attinente i lavori pubblici, di natura cogente e come tale non
derogabile. Nello stesso modo, in caso di ritardo nei pagamenti da parte
dell’ente appaltante, la mancanza di risorse per fatto dell’ente finanziatore
non potrebbe mai essere invocata quale ragione esimente di responsabilità nei
confronti della stazione appaltatrice che abbia portato a termine il lavoro (o
il singolo SAL).
Termini, modalità e tempi di finanziamento dell’opera sono stabiliti
liberamente dall’Amministrazione, che pertanto è tenuta a valutare l’impatto –
e la compatibilità – di tale intervento terzo sulla realizzabilità dell’intero
programma d’interventi. Quando si accede dunque a contribuzioni da parte di
enti terzi spetta all’Amministrazione che riceve il contributo valutare la
propria possibilità autonoma di pagamento e non procedere all’affidamento dei
lavori nel caso in cui la cassa, o i diversi rimedi posti dall’ordinamento
nella disponibilità dell’Ente, non consentano, in considerazione di eventuali
ritardi nell’erogazione dei trasferimenti, congrue anticipazioni. Lo scopo
principale della normativa di settore, infatti, nell’evoluzione che si andrà a
specificare in prosieguo di trattazione, è quello di tutelare con efficacia la
posizione dell’appaltatore e garantire l’ interesse al corretto e regolare
esercizio dell’attività economica d’impresa a fronte delle tradizionali
disfunzioni della Pubblica Amministrazione specialmente in un momento storico,
qual è quello attuale, caratterizzato da una forte recessione ed in cui, di
conseguenza, il ritardo nei pagamenti sta assumendo dimensioni endemiche.
Peraltro, in merito ai contratti di lavori pubblici, è sempre stato
pacificamente riconosciuto che le disposizioni dettate sui termini di pagamento
e di corresponsione degli interessi di mora non potessero essere derogate in
danno dell’appaltatore; già il Decreto del Ministero dei Lavori Pubblici 19.4.2000,
n. 145 prevedeva espressamente, all’art. 29, che i capitolati generali ed i
contratti potessero stabilire solo termini più brevi rispetto a quelli
normativamente previsti, giammai più lunghi, a tutto vantaggio del contraente
privato; detta disposizione è stata ribadita anche dall’art. 143 comma 3 del
D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 (Regolamento di esecuzione del Codice dei
contratti pubblici).
2. I dubbi che hanno inizialmente accompagnato l’entrata in vigore del
Decreto n. 192/2012, che recepisce la Direttiva europea 2011/7/UE, hanno
riguardato proprio l’applicazione della norma alla materia dei lavori pubblici.
Nel senso dell’applicabilità deponeva il considerando n. 11 della Direttiva, ai
sensi del quale “La fornitura di merci e la prestazione di servizi dietro
corrispettivo a cui si applica la presente direttiva dovrebbero anche includere
la progettazione e l’esecuzione di opere e edifici pubblici, nonché i lavori di
ingegneria civile”. Attesa, però, la mancanza di ogni riferimento da parte
della normativa a detto ambito, si è reso necessario l’intervento del Ministero
dello Sviluppo Economico che, con circolare n. 1263 del 23 gennaio 2013
(rifacendosi alla Nota n. 2667 della Presidenza del Consiglio dei Ministri –
Settore legislativo del Ministro per gli affari europei), ha inteso chiarire
che l’ambito applicativo del decreto n. 192 è esteso a tutti i settori dei
contratti di diritto pubblico, compresi quelli di lavori. Depone a favore di
tale tesi una duplice argomentazione, e cioè un argomento formale, secondo cui
l’ampia espressione “prestazione di servizi” comprende anche i lavori, ed uno
sistematico, secondo cui la disciplina sovranazionale non può che prevalere su
regolamentazioni nazionali eventualmente configgenti.
Ravvisandosi, infatti, lo scopo della normativa europea nella necessità
di garantire il corretto funzionamento del mercato, atteso che i ritardi nei
pagamenti rappresentano un effetto distorsivo della concorrenza, ove si ponga
la necessità di interpretare una norma interna – sia anteriore che successiva -
è necessario farlo nel modo più possibile corrispondente alla lettera, agli
scopi ed alla ratio della norma europea. In tal senso anche le disposizioni
dettate in materia di lavori pubblici (e cioè le norme del Codice e del
Regolamento), anteriori rispetto al recepimento della Direttiva, vanno
interpretate e chiarite alla luce del D. Lgs. n. 192, essendo quest’ultimo da
ritenere prevalente rispetto a disposizioni di matrice nazionale eventualmente
configgenti.
Di conseguenza, non potranno essere considerate più applicabili le
disposizioni del Regolamento (D.P.R. n. 207/2010) che determinano la misura
degli interessi moratori in modo diverso da quello del decreto n. 231, come
modificato dal d.lgs. n. 192/2012, che prevede la corresponsione di interessi
di mora ad un tasso d’interesse pari a quello applicato dalla BCE alle sue più
recenti operazioni di rifinanziamento, in vigore all’inizio del semestre,
maggiorato dell’8%, senza che sia necessaria la costituzione in mora; né
potranno più ritenersi applicabili l’art. 144 commi 2 e 3 del Regolamento, che
facevano riferimento a tassi moratori al saggio stabilito annualmente con
decreto interministeriale, né l’art. 142, commi 1 e 2.
3. Parimenti, non saranno più applicabili le norme che fissano il
termine di 45 giorni per l’emissione del certificato di pagamento del SAL (art.
143 comma 1 D.P.R. n. 207/2010), oggi da considerare fissato a 30 giorni dalla
normativa di recepimento della Direttiva europea.
Non risulta configurabile, ad avviso del Collegio, alcuna “apertura”
verso statuizioni da inserire nei capitolati e/o clausole contrattuali che
pattuiscano termini maggiori per i pagamenti, nel nome di giustificazioni
derivanti dalla natura o l’oggetto del contratto o da circostanze esistenti al
momenti della sua stipulazione; ciò che infatti potrebbe a buon diritto essere
applicato in ambito di diritto nazionale, non può essere considerato vigente in
ambito europeo: legare l’efficacia o meno dei nuovi termini – più rigidi e
severi per il soggetto pubblico – all’inserimento o meno di clausole difformi
significherebbe, di fatto, riconoscere valore recessivo alla normativa europea,
addirittura di fronte alla volontà dei contraenti, il che rappresenterebbe un
nonsenso giuridico. Non potranno cioè essere considerate praticabili
interpretazioni che legittimino, nella sostanza, l’elusione della normativa
europea, vanificando nel concreto l’applicazione del principio della preminenza
del diritto europeo su quello nazionale.