MINISTERO
DEL LAVORO - RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO - LEGGE
92/2012 - VADEMECUM - NOTA N. 7258/2013
Si segnale che il Ministero del
Lavoro, con lettera circolare n. 7258 del 22 aprile 2013, ha diramato un
vademecum sulla L. 92/2012, c.d. riforma Fornero, che si pubblica in calce alla
presente nota e il cui testo è disponibile anche sul sito del Dicastero all’indirizzo
http://www.lavoro.gov.it/Lavoro/Notizie/20130422_LC_22042013.htm
Il documento riporta orientamenti
interpretativi in parte condivisi con il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei
Consulenti del Lavoro su talune disposizioni della Riforma.
Si fa
riserva di ulteriori approfondimenti circa i contenuti dello stesso in
successive circolari, in quanto taluni aspetti presentano criticità
interpretative.
Ministero del Lavoro
Roma, 22 aprile 2013
Nota n. 7258
A seguito dell’incontro tenutosi il
7 e 18 febbraio u.s .
organizzato dalla Direzione generale per l’Attività ispettiva e dal Consiglio
Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro- cui hanno partecipato i
Dirigenti delle strutture territoriali e i Presidenti provinciali degli Ordini
- si ritiene opportuno rappresentare alcuni
orientamenti interpretativi condivisi nel corso del dibattito.
Ciò al fine dì meglio orientare i
comportamenti sia del personale ispettivo che dei professionisti, in fase di
applicazione della disciplina contenuta nella L. n.
92/2012.
VADEMECUM RIFORMA LAVORO
Contratto a tempo determinato
1) Qual è il significato da
attribuire alla disposizione di cui all’art. 1, comma 1. D.Lgs.
n.368/2001. come modificato dall’art. 1, comma 9, lett. a), L. n. 92/2012, in virtù della
quale “il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato
costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”?
In forza del suddetto disposto
normativa. qualora nell’ambito di una determinata tipologia contrattuale di
natura subordinata. non si riscontrino gli elementi di specialità
previsti dal Legislatore - elementi sia di carattere sostanziale che formale -
il rapporto di lavoro deve essere ricondotto necessariamente alla forma comune
e cioè al contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
2)
Quando può essere stipulato il contratto a termine “acausale”,
ovvero senza la necessaria individuazione delle ragioni giustificatrici ex art.
1, comma 1, D.Lgs. n.
368/2001, di durata non superiore ai dodici mesi?
Il contratto a termine “acausale” di
durata non superiore a dodici mesi può essere stipulato esclusivamente
nelle ipotesi in cui non siano intercorsi tra Il medesimo datore di lavoro e
lavoratore precedenti rapporti di lavoro di natura subordinata (ad es. un
precedente contratto a tempo determinato o indeterminato ovvero
intermittente).
Diversamente, nel caso di pregressi
rapporti di lavoro di natura autonoma tra i medesimi soggetti, si ritiene
possibile la stipulazione dì un primo contratto a termine “acausale”.
3) E’ possibile la proroga del primo contratto a termine “acausale”?
Si ribadisce che il primo contratto
a termine acausale non
può avere una durata superiore a dodici mesi e laddove venga stipulato per un
periodo inferiore, lo stesso non è prorogabile, né tantomeno risulta possibile
stipulare un nuovo contratto a termine acausale per
il restante periodo tino al raggiungimento dei dodici mesi. Ad esempio, se il
primo rapporto a termine acausale ha
una durata di 3 mesi, in caso di successiva assunzione a tempo determinato del
medesimo lavoratore risulta necessario indicare le
ragioni che giustificano l’apposizione del termine ossia quelle integranti il
c.d. causalone.
4) È possibile fruire dei “periodi
cuscinetto” - non superiori a 30 o 50 giorni, a seconda che il rapporto a
termine abbia una durata inferiore oppure pari o
superiore a sei mesi - anche nelle ipotesi di primo contratto a termine “acausale”?
Si. è ammessa la possibilità di
usufruire. dei c.d. periodi cuscinetto, rispettivamente di 30 e 50 giorni,
anche in relazione al primo contratto a termine acausale,
evitando in tal modo una trasformazione del contratto a termine in rapporto a
tempo indeterminato, nel caso di superamento del termine inizialmente fissato.
Di conseguenza, la durata massima del primo contratto a termine acausale,
nell’ipotesi di fruizione del c.d. periodo cuscinetto. è pari complessivamente
a 12 mesi e 50 giorni .
5) ln caso di prosecuzione di fatto
del rapporto di lavoro oltre il termine originariamente fissato nonché nel caso di superamento dei c.d. periodi cuscinetto pari 30 o 50
giorni, risulta applicabile la disciplina sanzionatoria fissata ex art. 19, D.Lgs. n.
276/2003 nell’ipotesi di mancata o tardiva comunicazione di tale circostanza ai competenti centri per l’impiego ex 5, comma 2 bis, D.Lgs. n. 368/2001?
No, in entrambi casi. Sebbene il Legislatore della riforma abbia
sancito con l’art. 5. comma 2 bis. un nuovo obbligo comunicazionale in capo al
datore di lavoro nelle ipotesi di prosecuzione del rapporto, la mancata e/o tardiva comunicazione non produce alcuna conseguenza sul
piano sanzionatorio in quanto non espressamente prevista.
6) Nel caso in cui il rapporto di lavoro prosegua oltre il termine
originariamente fissato, si rinvengono i margini per l’applicazione della maxi sanzione per lavoro nero?
Entro i limiti dei c.d. cuscinetto di 30 e 50 giorni non si rinvengono
margini per l’applicazione della maxi sanzione in quanto tali periodi di “tolleranza”sono considerati coperti ex lege dalla iniziale comunicazione di assunzione.
Diversamente la prestazione di lavoro resa nel periodo successivo allo
scadere dei periodi cuscinetto è una prestazione “in nero”. rispetto alla quale
trovano applicazione le scriminanti di carattere generale descritte con circ.
n. 38/1010.
La maxi sanzione. pertanto. trova applicazione a partire
rispettivamente dal 31esimo e dal 51esimo giorno salvo il riscontro delle
citate scriminanti.
7) Il nuovo regime degli intervalli temporali, tra un contratto a tempo
determinato ed il successivo, di 60 e 90 giorni in relazione
alla durata del contratto scaduto pari o superiore a sei mesi, deve essere
rispettato per qualunque tipologia di contratti a termine ovvero subisce delle
eccezioni collegate alla causale giustificatrice dell’apposizione del termine?
L’obbligo del rispetto degli intervalli vale per ogni tipologia di
contratto a termine indipendentemente dalla causale applicata anche dunque
nell’ipotesi di assunzione per ragioni sostitutive, ivi compresa la c.d.
sostituzione per maternità.
L’unica fattispecie per la quale non si
impone l’obbligo del rigoroso rispetto del regime degli intervalli temporali è
quella concernente l’assunzione del lavoratore in mobilità in considerazione
della peculiarità del contratto e in quanto ipotesi non contemplata dal D.Lgs. n. 368/2001 ma dall’art. 8. comma 2, L. n. 223/1991.
8) Come deve essere interpretata la disposizione di cui all’art. 5.
comma 3, D.Lgs. n. 368/2001, che consente la riduzione degli intervalli temporali, in
caso di successione di più contratti a termine a venti o trenta
giorni, in virtù di apposite previsioni da parte della contrattazione
collettiva?
La circolare n. 27/2012 ha già chiarito che “gli accordi di livello
interconfederale o di categoria - ovvero, in via delegata. a livello decentrato - possono ridurre la durata degli intervalli per esigenze
riconducibili a ragioni organizzative qualificate, legate all’avvio di una
nuova attività al lancio di un prodotto o di un servizio innovativo ecc.”•.
Si evidenzia inoltre che la locuzione normativa
“ogni altro caso previsto dai contratti collettivi” di qualsiasi livello,
consente di ridurre intervalli da parte della contrattazione nazionale.
territoriale o aziendale, anche in ipotesi diverse e ulteriori rispetto a
quelle legate ai processi organizzativi sopra considerati.
Si precisa, ad ogni modo, che le diverse e ulteriori ipotesi sopra
menzionate devono essere specificatamente declinate dalla contrattazione
collettiva.
9) Il superamento del periodo massimo di occupazione a tempo
determinato, fissato dall’art. 5, comma 4 bis, D.Lgs. n. 368/2001, in 36 mesi, che comporta la trasformazione del contratto
a termine in contratto a tempo indeterminato, trova applicazione anche con
riferimento alla somministrazione di lavoro a termine?
No, la misura sanzionatoria della trasformazione
in contratto a tempo indeterminato non trova applicazione con riferimento alla
successione temporale di più contratti di somministrazione a tempo determinato.
Ciò in quanto, nel caso di contratto di somministrazione opera l’espressa esclusione prevista dall’art. 22 comma 2 del D.Lgs. n. 276/2003 secondo il quale “in caso di somministrazione a tempo
determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e prestatore di lavoro è
soggetto alla disciplina di cui al D.Lgs. 6 settembre 2001. n. 368. per quanto
compatibile e in ogni caso con esclusione delle disposizioni di cui
all’articolo 5 commi 3 e seguenti (...)”.
10) È possibile, dopo un primo contratto a termine, assumere il
medesimo lavoratore con contratto di lavoro intermittente,
senza rispettare gli intervalli temporali fissati ex art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 368/2001?
Anche se da un punto di vista letterale non risulta una preclusione in
tal senso, la condotta potrebbe integrare la violazione di una norma imperativa
(art. 1344 c.c.) e trattandosi di un contratto stipulato in frode alla
legge, con conseguente nullità dello stesso e trasformazione del rapporto in
rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Contratto intermittente
1) Può essere considerato di natura intermittente un rapporto di lavoro che presenta esigui
intervalli temporali tra una prestazione anche di rilevante durata e l’altra?
Il dato normativa non declina in
alcun modo la nozione di discontinuità e di intermittenza. Si ritiene
dunque possibile stipulare un contratto di lavoro intermittente, in presenza
delle causali di carattere oggettivo o soggettivo, anche laddove la prestazione
sia resa per periodi di durata significativa.
È la non esatta coincidenza tra la durata della prestazione svolta e la durata del contratto
che risulta fondamentale al fine di individuare i presupposti della
discontinuità o intermittenza.
2) Cosa deve intendersi per
individuazione dei c.d. periodi predeterminati da parte della
contrattazione collettiva sul piano nazionale o territoriale per lo svolgimento
delle prestazioni di natura intermittente, ex art. 34, comma 1, D.Lgs. n.
276/2003?
L’individuazione da parte della
contrattazione collettiva nazionale o territoriale di periodi
predeterminati in forza dei quali è possibile l’attivazione di rapporti di
lavoro intermittenti deve necessariamente riferirsi ad un periodo
predeterminato all’interno del contenitore/anno. Ne consegue che non risulta
possibile prevedere che il periodo predeterminato sia riferito
all’intero anno. ma occorre una precisa declinazione temporale.
Nell’ipotesi di stipulazione di
contratto di lavoro intermittente in virtù di una previsione da parte dei
contratti collettivi che individuino periodi predeterminati
riferiti all’intero anno, lo stesso sarà pertanto considerato quale contratto
di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
3) In che modo trova applicazione
la sanzione amministrativa contemplata dall’art. 1, comma 21 lett. b).
L. n. 92/2012, concernente la mancata comunicazione
dell’espletamento della prestazione lavorativa di natura intermittente?
L’art. 1. comma 21. lett. b),
della Legge di cui sopra stabilisce che “in caso di violazione degli obblighi
di cui al presente comma si applica la sanzione
amministrativa da euro 400,00 ad euro 2400,00 in relazione a ciascun lavoratore
per cui è stata omessa la comunicazione. Non si applica la la procedura di diffida di cui
all’art. 12, 23 aprile 2004. n. 124”.
Dal dettato normativa si evince che
la sanzione in esame trova applicazione con
riferimento ad ogni lavoratore e non invece per ciascuna giornata di lavoro per
la quale risulti inadempiuto l’obbligo comunicazionale. In sostanza, per ogni
ciclo di 30 giornate che individuano la “condotta” del trasgressore, trova applicazione una sola sanzione per ciascun lavoratore.
Apprendistato
1) Come si può ovviare alla mancanza del libretto formativo?
È possibile indicare il percorso formativo svolto anche mediante
annotazione dell’attività espletata su un registro
del datore di lavoro. senza particolari formalità.
Tale registro sarà oggetto di verifica da parte del personale ispettivo
mediante i riscontri di carattere documentale nonché di dichiarazioni dei
lavoratori al fine di constatarne la conformità con il piano
formativo individuale dell’apprendista.
2) Quali sono le conseguenze sanzionatorie nel caso in cui si
riscontrino violazioni delle disposizioni afferenti al tutor nel contratto di
apprendistato?
Si ritiene che le sanzioni connesse a violazioni legate alla presenza di un tutor aziendale siano esclusivamente di natura
amministrativa e non necessariamente riverberino effetti automatici sulla
genuinità del rapporto di apprendistato.
Di conseguenza, laddove si riscontrino le suddette violazioni non si
potrà automaticamente applicare il regime sanzionatorio di cui all’art. 7,
comma 1 D.L.gs. n. 167/2011 per mancata formazione dell’apprendista, in quanto
in tali ipotesi appare necessaria la puntuale verifica circa i contenuti e le
modalità previste dal contratto collettivo concernenti il
ruolo assegnato al tutor (cfr. circ. n. 5/2013).
Lavoro accessorio
1) Quali sono le principali novità introdotte dalla Riforma in ordine
al lavoro mediante voucher?
Ai sensi dell’art. 70, D.Lgs. n. 276/2003 è possibile attivare prestazioni di natura
occasionate e accessoria tenendo conto esclusivamente del limite di carattere
economico.
Tale limite. pari a euro 5.000 da considerarsi al netto delle
trattenute previste dalla legge, originariamente quantificato in relazione alla attività prestata nei confronti del singolo committente, va riferito
oggi al compenso massimo che il lavoratore accessorio può percepire, nel corso
dell’anno solare, indipendentemente dal numero dei committenti.
Fermo restando il limite complessivo di euro
5.000 nel corso di un anno solare, il Legislatore stabilisce che “nei confronti
dei committenti imprenditori commerciali o professionisti, le attività
lavorative (...) possono essere svolte a favore di ciascun singolo committente
per compensi non superiori a 2.000 euro, rivalutati
annualmente (...)”(cfr. circ. n. 4/2013).
2) Ai fini del riscontro della genuinità dell’utilizzo dei buoni lavoro
per prestazioni accessorie occorre verificarne la natura?
No. Ai fini qualificatori risulta determinante unicamente il rispetto del requisito di carattere economico dei 5000 e 2000
euro. Se la prestazione lavorativa è contenuta entro tali limiti, al personale
ispettivo non è consentito entrare nel merito delle modalità di svolgimento
della prestazione perché ciò finirebbe per vanificare le finalità
stesse dell’istituto. In sostanza, se sono corretti i presupposti di
instaurazione del rapporto, il Legislatore presume che qualunque prestazione
rientrante nei limiti economici sopra descritti sia per definizione occasionale e accessoria, anche se in azienda sono presenti lavoratori che
svolgono la medesima prestazione con un contratto di lavoro subordinato.
3) Quali sono le conseguenze in caso di superamento del limite
economico previsto dalla legge?
In sede di accertamento ispettivo, ed esclusivamente con riferimento al
soggetto committente avente natura di impresa, nel caso di superamento del
limite economico si potrà verificare se la prestazione svolta sia riconducibile
ad un rapporto di tipo autonomo o subordinato, con eventuali
conseguenze sul piano lavoristico e contributivo.
Associazione in partecipazione
1) In quali ipotesi trova applicazione la trasformazione del rapporto
di associazione in partecipazione in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato?
Ai sensi del novellato art. 2549 c.c in primo luogo, laddove l’apporto dell’associato consista anche in una
prestazione di lavoro e il numero degli associati impegnati in una medesima
attività sia superiore a tre, indipendentemente dal
numero degli associanti, salvo l’eccezione dei legami familiari. La seconda
ipotesi presuntiva si verifica, invece, in caso di rapporti di associazione in
partecipazione con apporto di lavoro instaurati o attuati senza che vi sia
stata un’effettiva partecipazione dell’associato agli utili
dell’impresa o dell’affare, ovvero senza consegna del rendiconto previsto dal’art. 2552 del codice civile.
Le limitazioni previste dalla nuova normativa si ritiene trovino
applicazione esclusivamente laddove l’associato sia
una persona fisica e non una impresa. Ciò in quanto in tale ultimo caso
l’apporto è prevalentemente di carattere economico imprenditoriale.
Contratto di collaborazione
coordinata e continuativa a progetto
1) Quali sono le principali novità
della Riforma in ordine alla tipologia contrattuale
delle collaborazioni a progetto?
Oltre all’eliminazione del
“programma’’ di lavoro o della “fase” di esso, requisito indispensabile ai fini
del riconoscimento della genuinità del contratto risulta essere la descrizione di uno specifico progetto funzionalmente collegato ad un
determinato risultato finale obiettivamente verificabile.
2) Come deve essere inteso l’art.
61, D.Lgs. n.
276/2003 novellato dalla Riforma nella parte in cui il Legislatore stabilisce
che il progetto non può consistere in una mera
riproposizione dell’oggetto sociale?
Il progetto gestito autonomamente
dal collaboratore non può sinteticamente identificarsi con l’oggetto sociale.
ma deve risultare caratterizzato da una sua specificità, compiutezza, autonomia, antologica e predeterminatezza del
risultato atteso, in modo da costituire una vera e propria “linea guida” in
ordine alle modalità di espletamento dell’obbligazione del collaboratore. Il
progetto può dunque rientrare nell’ambito del ciclo produttivo
dell’impresa e nel c.d. core business aziendale, ma non può limitarsi a
sintetiche e generiche formulazioni standardizzate che identificano la “ragione
sociale” descritta nella visura camerale del committente.
3) Il compenso erogato al
collaboratore deve essere parametrato al tempo
impiegato per la realizzazione del progetto?
No. Il compenso viene erogato in
relazione al raggiungimento del risultato finale, tuttavia l’elemento temporale
rileva ai fini della valutazione circa la congruità dell’importo attribuito al collaboratore sulla base del contratto collettivo di
riferimento.
In particolare. il nuovo art. 63. D.Lgs. n.
276/2003 rimanda ai minimi salariali applicati nello specifico settore alle
mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati. in
forza dei contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei
lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul
piano nazionale, a livello interconfederale o di categoria ovvero, su loro
delega, ai li velli decentrati.
Laddove non si rinvenga una
contrattazione per lo specifico settore, a parità di estensione temporale
dell’attività oggetto della prestazione, si fa riferimento “alle retribuzioni
minime previste dai contratti collettivi di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di
competenza e di esperienza sia analago a
quello del collaboratore a progetto” .
4) L‘elencazione delle attività, di
cui alla circolare n. 29/2012, difficilmente inquadrabili nell’ambito di un genuino rapporto dì collaborazione coordinata e continuativa a
progetto, ancorché astrattamente riconducibili ad altri rapporti di natura
autonoma può costituire una presunzione di subordinazione?
No. Tale indicazione opera
esclusivamente sotto il profilo della metodologia ispettiva,
al fine di orientare e uniformare l’attività di vigilanza, non volendo dunque
rappresentare alcun indice presuntivo dì carattere generale in ordine ai
criteri distintivi tra attività autonoma c subordinata.
Ciò che si vuole esprimere con tale elencazione è la non riconducibilità delle
attività indicate ad un progetto nelle valutazioni del solo personale
ispettivo, ferme restando ovviamente le competenze giudiziali in materia di
qualificazione del rapporto di lavoro.
La responsabilità
solidale negli appalti
1) Quali sono le novità in materia
di responsabilità solidale negli appalti ex art. 29, comma 2, D.Lgs. n.
276/2003, apportate dalla Riforma?
La principale novità introdotta
nell’ambito dell’art. 29. comma 2. consiste nella
possibilità di introdurre discipline derogatorie alla responsabilità solidale
da parte della contrattazione collettiva nazionale.
In proposito. si sottolinea che
l’esclusione della responsabilità solidale in forza della deroga operata da parte della contrattazione collettiva nazionale
sembrerebbe poter afferire ai trattamenti retributivi e non invece alle
obbligazioni previdenziali e assicurative di natura pubblicistica maturate nei
confronti degli Istituti, intesi quali soggetti terzi rispetto agli accordi
derogatori intercorsi tra le parti sociali. Peraltro, sulla questione può
essere invocato anche un principio di carattere generale del nostro ordinamento
secondo cui non sembrerebbe consentito alla fonte contrattuale di incidere direttamente sui “saldi” di finanza pubblica.
Su tale orientamento si registrano
però riserve da parte del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Consulenti del
Lavoro che ritiene preferibile l’interpretazione secondo cui il CCNL non opera
come fonte privatistica, ma opera come fonte delegata
dal Legislatore con conseguente possibilità, da parte del CCNL, di derogare
alla legge anche sotto il profilo previdenziale.
2) La responsabilità solidale in
materia di appalti ex art. 29, comma 2, trova applicazione
anche con riferimento ai lavoratori autonomi?
La norma utilizza la locuzione
“lavoratori” senza distinguere tra le fattispecie di lavoro subordinato u
autonomo. Sembrerebbe, pertanto. ragionevole interpretare la disposizione in
senso garantista nei confronti di ciascuna tipologia di
lavoratori coinvolti nell’esecuzione dell’appalto.
Su tale orientamento ci sono invece
riserve da parte del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro
che ritiene preferibile l’interpretazione secondo cui la disciplina è riferibile esclusivamente ai lavoratori subordinati in
quanto gli stessi riferimenti contenuti nell’art. 29 richiamano tale tipologia
di rapporto (retribuzione, TFR, ecc.).
3) L ‘art. 29, comma 2, trova
applicazione nei confronti del settore pubblico?
Sembrerebbe di no, anche se in tal
senso si è registrato qualche pronunciamento di merito.
Com’è noto, ai sensi dell’art. 1
comma 2, il D.Lgs. n.
276/2003 non trova applicazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni e
del loro personale.
La procedura conciliativa del
licenziamento per giustificato motivo oggettivo
1) Quali sono le conseguenze in
caso di mancata presentazione del datore di lavoro nel giorno della
convocazione per l’espletamento del tentativo di conciliazione presso la Direzione Territoriale del Lavoro competente per territorio?
Il personale incaricato provvederà
a redigere il verbale di mancata presenza e la procedura si considera comunque
espletata.
2) È
possibile da parte dei datori di lavoro farsi rappresentare in sede di
procedura conciliativa?
Si. Conferendo apposita delega
autenticata conferita a professionisti abilitati a rappresentare il datore di
lavoro. Tali professionisti possono essere esclusivamente
avvocati e consulenti del lavoro (cfr. circ. n. 3/2013).
3) È possibile presentarsi il
giorno della convocazione presso la DTL con un accordo precedentemente
raggiunto in sede sindacale?
Si, è possibile che gli Uffici
prendano in considerazione l’accordo già raggiunto espletando,
tuttavia non solo una funzione notarile ma operando anche una attenta verifica
dei presupposti e del contenuto dell’accordo stesso.
4) La procedura conciliativa del
licenziamento per giustificato motivo oggettivo trova applicazione anche nelle ipotesi di c.d. licenziamenti ad nutum?
Si ritiene che le fattispecie di
libera recedibilità che,
com’è noto costituiscono ipotesi eccezionali di risoluzione del rapporto di
lavoro in mancanza di qualsivoglia motivo, non rientrino nel campo di applicazione sancito dal novellato art. 7, L. n. 604/1966,
che afferisce esclusivamente ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo
di cui alla seconda parte dell’art. 3 della medesima Legge.
Restano, pertanto, esclusi dalla nuova procedura conciliativa i casi di licenziamento del lavoratore nel periodo di prova, di licenziamento dei dirigenti di azienda. nonché i licenziamenti intimati per superamento del periodo di comporto e il licenziamento dell”apprendista al termine del periodo formativo.