Codice delle leggi antimafia: criticità e problematiche applicative
Si
ritiene opportuno ritornare sul tema concernente il nuovo codice delle leggi
antimafia per affrontare alcune specifiche problematiche emerse nella prima
fase di applicazione della normativa sulla documentazione prefettizia
(comunicazione e informazione).
Verifica antimafia e verifica sul concorrente in fase di gara ai sensi
dell’articolo 38 del codice appalti
Un
primo punto da chiarire riguarda l’ambito di applicazione della comunicazione
antimafia, considerato che si crea spesso confusione tra questo momento di
verifica e quello riguardante i requisiti generali di cui all’articolo 38,
comma 1, lettera b) del codice dei contratti pubblici; infatti, i due accertamenti presentano un contenuto
similare, riguardando sostanzialmente la sussistenza delle cause ostative o interdittive a contrarre con la Pubblica Amministrazione,
di cui all’articolo 67 del codice antimafia.
Va
evidenziato che si tratta di due tipologie di verifica che intervengono in
momenti diversi del procedimento di affidamento dell’appalto. Più in
particolare, la verifica ai sensi dell’articolo 38, viene attuata in fase di
gara ed è funzionale a comprovare i requisiti generali dichiarati dai
concorrenti, mentre l’acquisizione della comunicazione antimafia riguarda il
momento immediatamente antecedente alla stipula del contratto e, quindi, è
sempre limitata al solo aggiudicatario.
La
diversità dei momenti della verifica giustifica il diverso ambito di
applicazione soggettivo degli accertamenti, che è più ristretto nel momento
della partecipazione alla gara e più ampio rispetto all’aggiudicatario
contraente.
Infatti,
la verifica da effettuare ai sensi dell’articolo 38, lettera b) riguarda unicamente
i soggetti ivi menzionati e cioè, oltre al direttore tecnico: il titolare, per
le imprese individuali; i soci, per le società in nome collettivo; i soci
accomandatari, per le società in accomandita semplice; gli amministratori
muniti del potere di rappresentanza, il socio unico persona fisica, ovvero il
socio di maggioranza per le società con meno di quattro soci, se si tratta di
altro tipo di società.
Viceversa,
l’acquisizione della comunicazione antimafia, oltre ai soggetti sopra
menzionati, riguarda, ai sensi dell’articolo 85 del codice antimafia,
necessariamente anche:
- per le società di capitali, tutti i
componenti l’organo di amministrazione, il socio di maggioranza, anche nel caso
di società con un numero di soci pari a quattro, e il socio unico, senza la specificazione presente
nell’articolo 38 che si tratti di persona fisica;
- per tutti i tipi di società, anche i membri
del collegio sindacale o il sindaco unico nonché i soggetti che svolgono
compiti di vigilanza, di cui alla legge n. 231/2001.
Va,
infine, evidenziato anche il diverso ambito oggettivo dei due momenti di
verifica.
Infatti,
ai sensi dell’articolo 38, lettera b), non rileva soltanto l’esistenza di un
provvedimento definitivo di applicazione di una misura di prevenzione, come si
verifica per la comunicazione antimafia, ma anche la semplice pendenza del
procedimento diretto all’irrogazione di quella misura che, dunque, le stazioni
appaltanti dovranno verificare, rivolgendo apposita domanda alle cancellerie
dei tribunali competenti.
La verifica nel caso di socio di maggioranza o socio unico persona
giuridica
Come
sopra detto, il codice antimafia prevede che tra i soggetti da verificare ci
siano anche il socio di maggioranza o il socio unico, senza alcuna precisazione
in relazione alla qualità di persona fisica o giuridica.
L’assenza
di tale indicazione porta a ritenere che la verifica debba riguardare anche la
persona giuridica.
In
tal caso, se si tratta di società, la platea di soggetti da verificare si
identifica con quella individuata dall’articolo 85 del codice antimafia.
Nell’ipotesi, poi, che sussista una struttura di partecipazioni societarie a
catena, tale circostanza potrebbe dar luogo ad un sistema di controlli
particolarmente ampio, non essendo chiaro se sia possibile fermare gli
accertamenti al primo livello della compagine societaria.
Ciò,
peraltro, potrebbe rivelarsi particolarmente oneroso sia per le imprese ma
soprattutto per le Prefetture, in particolare fino a quando non sarà operativa
la Banca dati.
Si
evidenzia che segnaleremo la questione all’Autorità di Vigilanza nell’ambito
del documento di consultazione propedeutico all’emanazione dei bandi-tipo,
affinché la stessa possa valutare l’opportunità di suggerire un’interpretazione
che consenta di limitare il riferimento al solo socio persona fisica e non
anche all’eventuale socio persona giuridica, in linea con quanto già precisato
per l’articolo 38, comma 1, lettera c); in alternativa, si potrebbe precisare
che gli accertamenti, da effettuarsi anche sui soci persone giuridiche, si
debbano fermare al primo livello di controllo societario.
In
attesa che intervenga un chiarimento da parte dell’Autorità di Vigilanza, si
ritiene opportuno suggerire una linea cautelativa per le imprese, rispondendo
positivamente alla richiesta dell’Amministrazione di dichiarare la composizione
azionaria della società nonché, in caso di informazione prefettizia, l’elenco
dei conviventi per tutti i soggetti da verificare rispetto ad ogni livello
societario.
La verifica sui soggetti conviventi
Nella
precedente circolare Ance si è precisato che la verifica antimafia sui
familiari conviventi va effettuata sia nel caso della comunicazione che della
informazione prefettizia. Tale indicazione necessita, tuttavia, di una
precisazione, avendo dato luogo ad interpretazioni equivoche.
Per
quanto riguarda la comunicazione antimafia, occorre tener conto del contenuto
dell’articolo 67, comma 4, del codice antimafia, ai sensi del quale il
Tribunale può disporre una misura di divieto o decadenza a contrarre con la
pubblica amministrazione, anche nei confronti di chiunque conviva con persona
sottoposta a misura di prevenzione antimafia.
Tale
indicazione normativa viene talvolta interpretata dalle stazioni appaltanti nel
senso di dover richiedere all’aggiudicatario contraente di indicare i familiari
conviventi, al fine di acquisire la comunicazione prefettizia anche nei loro
confronti.
In
realtà tale richiesta non è necessaria, in quanto l’eventuale provvedimento
giudiziario che estende il divieto dal convivente al soggetto interessato a
contrarre con la pubblica amministrazione, è emesso a carico di quest’ultimo e,
quindi, risulta dalla verifica che la Prefettura compie direttamente nei
confronti di quest’ultimo, ai fini del rilascio della comunicazione a lui
relativa.
Peraltro,
la verifica prefettizia sul convivente potrebbe essere fuorviante: si pensi al
caso in cui il convivente dell’aggiudicatario contraente sia destinatario di
misure di prevenzione, ma il Tribunale non abbia ritenuto di estendere il provvedimento
interdittivo anche a quest’ultimo.
Pertanto,
la verifica antimafia finalizzata al rilascio della comunicazione prefettizia
va effettuata con esclusivo riferimento all’aggiudicatario interessato,
rilevando unicamente i provvedimenti interdittivi
emessi a suo carico. Di conseguenza, nei casi in cui l’Amministrazione richieda
all’aggiudicatario l’autocertificazione della comunicazione prefettizia, ai
sensi dell’articolo 89 del codice antimafia, sussistendo ragioni di urgenza,
questa non deve essere resa con riferimento ai familiari conviventi.
Si
evidenzia che anche tale questione sarà segnalata all’Autorità di Vigilanza
nell’ambito del documento di consultazione propedeutico all’emanazione dei
bandi-tipo, al fine di fare chiarezza sulla documentazione che le
Amministrazioni devono richiedere all’aggiudicatario contraente per la verifica
antimafia.
Diverso
discorso va fatto, invece, con riferimento all’informazione prefettizia.
In
tale ambito, infatti, l’articolo 85, comma 3, del codice antimafia, prevede
espressamente la necessità di estendere la verifica anche ai familiari
conviventi. Ciò si giustifica in relazione al particolare contenuto
dell’informazione prefettizia che, rispetto alla comunicazione, attesta anche
la sussistenza del tentativo di infiltrazione mafiosa, il quale si desume da
un’indagine complessa che tiene conto di diversi elementi indizianti, tra i
quali rileva anche il comportamento dei conviventi.
Un’ulteriore
precisazione si ritiene utile con riferimento alla nozione di “familiare
convivente”. Infatti, la circolare del Ministro dell’Interno del 19 aprile
2013, ha precisato che in tale categoria deve ritenersi incluso chiunque
conviva con la persona sottoposta ad accertamento.
Pertanto,
è da ritenere che l’acquisizione dell’informazione prefettizia debba
effettuarsi rispetto a tutti i soggetti che figurino nel certificato attestante
lo stato di famiglia dell’aggiudicatario contraente, al di là della sussistenza
di un vero rapporto di parentela, coniugio o affinità tra gli stessi.
La verifica antimafia in caso di subappalto
L’articolo
91, comma 1, lettera c) del codice antimafia, dispone che l’acquisizione
dell’informazione prefettizia è necessaria per l’autorizzazione di subcontratti
di importo superiore a 150.000 euro.
Pertanto,
con riferimento ai contratti di subappalto di lavori pubblici, la disposizione
del codice antimafia sembrerebbe limitare l’obbligo di effettuare la verifica
antimafia soltanto ai casi in cui il subappalto abbia un importo superiore a
150.000 euro.
In
realtà tale norma va coordinata con la previsione di cui all’articolo 118,
comma 1, n. 4 del codice dei contratti pubblici, ai sensi del quale, ai fini
dell’autorizzazione al subappalto, occorre sempre dimostrare che non sussista
nei confronti dell’affidatario dello stesso alcuno dei divieti previsti
dall’articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575 (ora art. 67 del codice
antimafia), ciò che corrisponde al contenuto della comunicazione antimafia.
Pertanto,
dalla lettura combinata delle due norme sopra richiamate, sembra potersi
ritenere che, ai fini dell’ottenimento dell’autorizzazione al subappalto, per
importi compresi fino a 150.000 euro, l’amministrazione appaltante debba
acquisire la comunicazione prefettizia. Per quanto riguarda, invece, i
subappalti di importo superiore ai 150.000 euro, la stazione appaltante dovrà
acquisire l’informazione prefettizia.
La documentazione antimafia nei rapporti tra i privati
Un
problema fortemente segnalato dalle imprese riguarda l’impossibilità di
attestare la regolarità della posizione antimafia nell’ambito dei rapporti tra
privati, al fine di cautelarsi, in via di autoregolamentazione, dal rischio di
interagire con controparti inaffidabili.
Infatti,
il codice antimafia ha eliminato ogni possibilità per i privati di rivolgersi
alle Prefetture per richiedere la documentazione antimafia. Tale fatto è
peraltro ulteriormente aggravato dalla circostanza che è contestualmente venuta
meno la possibilità per le Camere di Commercio di rilasciare il certificato
camerale con la dicitura antimafia.
Si
pone, dunque, il problema di individuare una soluzione alternativa che, da un
punto di vista pratico, abbia gli stessi effetti del vecchio certificato
camerale. A tal proposito non potrebbe, infatti, essere utilizzato il
certificato del casellario giudiziale che, nella formulazione rilasciata al
privato, omette di indicare i provvedimenti per l’irrogazione di una misura di
prevenzione.
Una
soluzione potrebbe essere quella di richiedere la visura delle iscrizioni nel
casellario giudiziale, ai sensi dell’articolo 33 del DPR 14 novembre 2002, n.
313 (T.U. delle disposizioni in materia di casellario giudiziale).
Infatti,
tale documento, pur non avendo efficacia certificativa, riporta tutte le
iscrizioni contenute nel casellario giudiziale, comprese quelle di cui non è
fatta menzione nei certificati rilasciati al privato. Al fine di avere una
completa conoscenza dei provvedimenti a carico del soggetto, la visura dovrebbe
essere accompagnata dal certificato dei carichi pendenti, che attesta
l’eventuale sussistenza di sentenze di condanna anche non definitive.
Infatti,
attraverso questi due documenti si potrebbe avere una verifica analoga a quella
scaturente dalla comunicazione prefettizia, che attesta l’insussistenza di
provvedimenti per l’applicazione di misure di prevenzione o di sentenze di
condanna, non definitive ma confermate in grado di appello, per i delitti
menzionati nell’articolo 67 del codice antimafia.
Tuttavia,
anche questa soluzione non risulta praticabile, dal momento che la parte della
visura che viene rilasciata all’interessato non contiene l’indicazione delle
generalità dello stesso.
Si
segnala, comunque, che le Camere di Commercio sono incluse tra i soggetti
abilitati a consultare la Banca Dati Nazionale Unica della Documentazione
Antimafia, ai sensi dell’articolo 97 del codice antimafia. Pertanto, una volta
che tale Banca Dati sarà operativa, è ipotizzabile che queste possano
riemettere certificati camerali analoghi a quelli con dicitura antimafia.
Affinché questo possa avvenire è, tuttavia, necessaria una specifica modifica
normativa, che potrebbe essere contenuta in uno dei decreti correttivi del
codice antimafia, che possono essere adottati entro due anni dall’entrata in
vigore del codice stesso.
Su
tale questione, abbiamo formulato un’apposita segnalazione al Ministero
dell’Interno.
Tipologie di attività a maggior rischio di infiltrazione mafiosa e
White list
Si
ricorda che il codice antimafia, all’articolo 91 comma 7, demanda ad uno
specifico Regolamento, ancora da adottarsi, l’individuazione delle diverse
tipologie di attività suscettibili di infiltrazione mafiosa nell’attività di
impresa, per le quali è sempre obbligatoria l’acquisizione della documentazione
antimafia, indipendentemente dal valore del contratto o del subcontratto.
Questa
norma costituisce il raccordo tra la disciplina del codice antimafia e quella
delle “white list” contenuta nella legge 6 novembre
2012, n.190 (legge anticorruzione), che è ora divenuta operativa a seguito
della pubblicazione sulla G.U. del 15 luglio 2013, n.164, del D.P.C.M. 18
aprile 2013 contenente le modalità per l’istituzione e l’aggiornamento degli
elenchi, presso le prefetture, dei fornitori, prestatori di servizi ed
esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa.
Infatti,
l’articolo 1, commi da 52 a 57 della legge anticorruzione, prevede, per la
prima volta in maniera organica ed in via generale, gli elenchi, da istituire
presso le prefetture, di imprese operanti in settori di attività
particolarmente esposte all’azione della malavita organizzata, da sottoporre a
controlli periodici da parte delle prefetture medesime.
In
questo caso è la norma stessa ad indicare i settori economici considerati
maggiormente a rischio, elencandoli in modo tassativo. Si tratta delle seguenti
attività, che si pongono tutte “a valle” dell’aggiudicazione degli appalti:
a)
trasporto di materiali a discarica per conto di terzi;
b)
trasporto, anche transfrontaliero, e smaltimento di rifiuti per conto di terzi;
c)
estrazione, fornitura e trasporto di terra e materiali inerti;
d)
confezionamento, fornitura e trasporto di calcestruzzo e di bitume;
e)
noli a freddo di macchinari;
f) fornitura di ferro lavorato;
g)
noli a caldo;
h)
autotrasporti per conto terzi;
i) guardiania dei cantieri.
L’elencazione
sopra indicata può essere aggiornata annualmente con decreto del Ministro
dell’Interno, di concerto con quelli della Giustizia, delle Infrastrutture e
Trasporti, dell’Economia e Finanze.
E’
auspicabile che il Regolamento che sarà adottato ai sensi dell’articolo 91,
comma 7 del codice antimafia confermi, quali settori di attività soggetti a
particolare rischio di infiltrazione mafiosa, le stesse tipologie indicate
nella legge anticorruzione, per le quali le “White list” sono divenute
operative. Ciò sembra essenziale al fine di garantire una complessiva coerenza
al meccanismo dei controlli antimafia.