MINISTERO
DEL LAVORO - ASPI - LICENZIAMENTO DISCIPLINARE -
OBBLIGO DEL DATORE DI LAVORO AL VERSAMENTO DEL CONTRIBUTO - INTERPELLO N.
29/2013
Il Ministero del Lavoro, con
interpello n. 29 del 23 ottobre 2013, che si riproduce in calce alla presente
nota, è intervenuto in risposta a un interpello in merito al diritto del
lavoratore a percepire l’ASpI e il
conseguente obbligo da parte del datore di lavoro di versare il contributo
straordinario di cui all’art. 2, co. 31 della L. n. 92/2012, nell’ipotesi di
licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo o per giusta
causa.
A tal proposito il dicastero
ricorda che le uniche cause di esclusione dall’ASpI e dal contributo a carico del
datore di lavoro sono riconducibil ai
casi di dimissioni (con l’eccezione delle dimissioni per giusta
causa, ovvero delle dimissioni intervenute durante il periodo di maternità
tutelato dalla legge) e di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.
Ne consegue che non sembra potersi
escludere che l’indennità ASpI ed il contributo a carico del datore di lavoro siano corrisposti in ipotesi
di licenziamento disciplinare, così come chiarito dall’Inps con le circolari
.n. 140/2012, n. 142/2012 e n. 44/2013.
Il Ministero sottolinea, altresì,
che il licenziamento disciplinare non può essere qualificato ex ante
come disoccupazione “volontaria”, in quanto la sanzione del licenziamento quale
conseguenza di una condotta posta in essere dal lavoratore, seppur volontaria,
non è automatica.
Ministero del Lavoro
Roma, 29 ottobre 2013
Interpello n. 29
Oggetto:
interpello ai sensi dell’art. 9 del D.Lgs. n.
124/2004 - Assicurazione Sociale per l’Impiego - licenziamento disciplinare.
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine
dei Consulenti del Lavoro ha avanzato istanza di interpello per conoscere il parere di questa Direzione generale in merito alla possibilità
che si configuri il diritto del lavoratore a percepire l’ASpI e il
conseguente obbligo del datore di lavoro di versare il contributo di cui
all’art. 2, comma 31 della L. n. 92/2012, nell’ipotesi
di licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo o per giusta
causa.
In particolare, l’istante chiede se
il licenziamento disciplinare possa costituire un’ipotesi di disoccupazione
“involontaria”, per la quale è prevista la concessione
della predetta indennità.
Al riguardo, acquisito il parere
della Direzione genera le per le Politiche Attive e Passive per il Lavoro, si
rappresenta quanto segue.
L’art. 2 della L. n. 92/2012 ha
introdotto l’Assicurazione Sociale per l’Impiego (d’ora in
poi ASpI),
con l’intento di fornire un’indennità di disoccupazione ai lavoratori colpiti
da disoccupazione involontaria, nonché un contributo a carico del datore di
lavoro per i casi di interruzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato,
dovuto nelle stesse ipotesi che darebbero diritto all’ASpI (
cfr. art. 2, comma 31, L. n. 92/2012).
Dal dettato della citata normativa,
può evincersi che le cause di esclusione dall’ASpI e del contributo a carico del
datore di lavoro sono tassative e riguardano i casi
di dimissioni (con l’eccezione delle dimissioni per giusta causa,v.
INPS circc. n.
97/2003, 142/2012, 44/2013, ovvero delle dimissioni intervenute durante il
periodo di maternità tutelato dalla legge) e di risoluzione consensuale del
rapporto di lavoro.
Ciò premesso, non sembra potersi
escludere che l’indennità di cui al comma 1 e il contributo di cui al comma 31
dell’art. 2, L. n. 92/2012 siano corrisposti in ipotesi di licenziamento
disciplinare, così come del resto ha inteso chiarire l’Istituto previdenziale, il quale è intervenuto con numerose circolari (cfr. INPS circc. n.
140/2012, 142/2012, 44/2013) per disciplinare espressamente le ipotesi di
esclusione della corresponsione dell’indennità e del contributo in parola senza
trattare l’ipotesi del licenziamento disciplinare.
A supporto di quanto sopra
rappresentato, si evidenzia che la Corte Costituzionale, con sentenza n.
405/2001, aveva statuito in merito all’opportunità che, in caso di
licenziamento disciplinare, venisse corrisposta l’indennità di maternità, pronunciandosi nel
senso di ritenere che una sua esclusione integrasse una violazione degli artt.
31 e 37 della Costituzione, in quanto alla protezione della maternità andava
attribuito un rilievo superiore rispetto alla ragione del licenziamento, trovando già “il fatto che ha dato causa al licenziamento (...)
comunque in esso efficace sanzione”. A giudizio della scrivente Direzione, la
fattispecie in argomento è suscettibile di essere analizzata con il medesimo
metodo di ragionamento adottato dalla Corte Costituzionale atteso
che, analogamente a quanto argomentato dalla Corte a proposito della
corresponsione dell’indennità di maternità, anche nel caso di specie il
licenziamento disciplinare può essere considerato un’adeguata risposta dell’ordinamento al comportamento del lavoratore e, pertanto, negare la
corresponsione della ASpI costituirebbe un’ulteriore reazione sanzionatoria nei suoi confronti.
Sotto altro profilo va evidenziato che il licenziamento disciplinare
non possa ex ante essere qualificato come disoccupazione
“volontaria”. Ciò in quanto la sanzione del licenziamento quale conseguenza di
una condotta posta in essere dal lavoratore, sia pur essa volontaria, non è
“automatica” (v. Cass. sent. 25 luglio 1984 n. 4382, secondo cui “ l’adozione
del provvedimento disciplinare è sempre rimessa alla libera determinazione e
valutazione del datore di lavoro e costituisce esercizio di potere
discrezionale”), senza contare l’impugnabilità dello stesso. In tali casi
potrebbe risultare peraltro iniquo negare la protezione assicurata dalla’ASpI nell’ipotesi in cui il giudice ordinario dovesse successivamente
ritenere illegittimo il licenziamento impugnato.
Atteso quanto sopra esposto, non sembrano esservi margini per negare il
contributo a carico del datore di lavoro previsto dall’art.
2, comma 31 della L. 92/2012, in quanto lo stesso è dovuto “per le causali che,
indipendente dal requisito contributivo, darebbero diritto all’ASpI”.