APPALTI PUBBLICI -  NON SPETTA  ALL'IMPRESA MA ALLA P.A. PROVARE LA TEMPESTIVA EMISSIONE DEL CERTIFICATO DI PAGAMENTO INIBITIVA DELLA CONSEGUENTE RICHIESTA DI INTERESSI

(Cass. Civile, Sez. I, 29/11/1999, n. 13304)

 

Non può condividersi la tesi di ascrivere all'appaltatore la mancata prova della data in cui sarebbe stato emesso il certificato di pagamento. In realtà, lo stesso deve provare le condizioni contrattuali, la data di approvvigionamento dei materiali e la data di ultimazione dei lavori.

Conseguenza dei ritardi nei pagamenti degli acconti, e segnatamente la mancata emissione nei termini del certificato di pagamento, sono poi definite dall'articolo 35 del D.P.R. numero 1063 del 1962. Provati dalla società gli elementi suddetti, è onere dell'amministrazione appaltante di provare la data di emissione dei certificati di pagamento, perché tale emissione (se tempestiva) si traduce in un fatto estintivo della pretesa azionata dall'appaltatore (articolo 2697, comma secondo, c.c.), o, comunque, in un fatto impeditivo della medesima.

 

 Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 13 dicembre 1983 la società Serena Prefabbricati Spa, - poi Serena Prefabbricati Sas ed ora Serena Prefabbricati Srl - convenne in giudizio il Ministero dell'Interno davanti al tribunale di Roma, esponendo:

che, in forza di contratto numero 4512 in data 30 luglio 1976, essa aveva provveduto a realizzare per il Ministero dell'Interno un edificio prefabbricato da destinare a sede del distaccamento portuale dei vigili del fuoco in Fiumicino, Roma;

che le opere erano state tempestivamente eseguite, come risultava dall'allegato certificato di ultimazione dei lavori;

che l'importo complessivo di questi ammontava a lire 49.500.000, da pagare alle seguenti scadenze:  il 60% dopo l'approvvigionamento dei materiali occorrenti, il 35% a montaggio ultimato e il 5% dopo l'esito favorevole del collaudo;

che, peraltro, tutti i pagamenti erano avvenuti con ritardo.

Su tali premesse l'attrice chiese la condanna dell'Amministrazione convenuta al pagamento della somma di lire 1.315.000, più i.v.a., a titolo di capitale, e della somma di lire 16.794.027 per ritardato pagamento dei corrispettivi maturati in virtù del menzionato contratto di appalto.

Il Ministero dell'Interno si costituiva per resistere alla domanda.

Il tribunale adito, con sentenza depositata il 25 maggio 1990, rigettò la domanda, ritenendo non provata quella concernente il pagamento degli interessi e dando atto dell'avvenuto pagamento della somma di lire 1.315.000.

La società Serena Prefabbricati propose appello, sostenendo che l'approvvigionamento dei materiali era stato completato il 2 gennaio 1978, che i lavori erano stati ultimati il 10 febbraio 1978, che i relativi pagamenti erano stati eseguiti con notevole ritardo, che anche la somma di lire 1.315.000 si sarebbe dovuta pagare entro il termine del collaudo  mentre era stata versata soltanto il 26 gennaio 1987.

Concluse, pertanto, chiedendo la condanna del ministero a pagare il complessivo importo di lire 28.795.591, a titolo di interessi per il ritardato pagamento delle somme dovute in base al citato contratto, ovvero la somma, maggiore o minore, che fosse risultata dall'istruzione, con gli ulteriori interessi ex articolo 1283 codice civile e con la rivalutazione monetaria. In via istruttoria chiese l'ammissione di una consulenza tecnica, per determinare le somme dovute a norma del capitolato speciale e del  capitolato generale per le opere di competenza del Ministero dei Lavori Pubblici, nonché l'ammissione di una prova testimoniale.

Il Ministero si costituì resistendo al gravame, del quale dedusse l'inammissibilità e l'infondatezza.

La corte di appello di Roma, con sentenza n. 3473 del 1995 depositata il 27 novembre 1995, rigettò l'appello e condannò l'appellante al pagamento delle spese del grado, considerando:

che andava respinta l'eccezione, avanzata dal Ministero, secondo cui la domanda per il pagamento della somma di lire 28.795.591, avanzata in secondo grado, sarebbe stata nuova rispetto a quella formulata in primo grado, limitata a lire 16 milioni circa;

che, invero, petitum e causa petendi erano rimasti immutati, essendo variata soltanto la quantificazione mediante calcoli matematici, e ciò appariva inidoneo ad integrare una nuova domanda, tanto più che l'appellante, pur dopo aver quantificato la domanda, chiedeva la condanna a quella "maggiore o minor somma" che fosse risultata dovuta;

che, in concreto, l'appellante chiedeva che le fossero corrisposti gli interessi, ex art. 35 e 36 del D.P.R. n. 1063 del 1962 (incontestatamente applicabile nella fattispecie), sui ritardati pagamenti delle rate prezzi e revisione relativa, sostenendo:

che l'approvvigionamento dei materiali occorrenti per l'opera era stato completato il 2 gennaio 1978, sicchè, in base al contratto, le sarebbe stato dovuto il 60% del prezzo di appalto, versato invece soltanto il 21 luglio 1978 (lire 28.066.500 e 16.371.500, per un totale di lire 44.438.000);

che il montaggio era stato completato il 10 febbraio 1978, mentre i successivi pagamenti erano avvenuti soltanto nel 1980;

che l'ultima rata del prezzo era stato pagata soltanto il 26 gennaio 1987;

che andava notata la scarsa chiarezza dell'esposizione dell'appellante, la quale, a fronte di un prezzo contrattuale di nette lire 49.500.000, denunciava pagamenti per somma di lire 69.446.600 (risultante dal capitolo di prova articolato) senza alcuna specificazione al riguardo e, in particolare, senza indicare le causali dei maggiori pagamenti;

che, a tutto voler concedere alle tesi dell'attrice, l'art. 13 del capitolato speciale  prevedeva il versamento del 60% del prezzo, a titolo di acconto, dopo l'approvvigionamento dei materiali, senza stabilire un termine preciso, onde spettava al giudice valutare se l'avvenuto pagamento dovesse o meno considerarsi in ritardo;

che, siccome nella fattispecie il pagamento era avvenuto il 21 luglio 1978 (cioè circa sette mesi dopo l'asserito approvvigionamento), esso andava ritenuto tempestivo, specialmente considerando che rilevante, ai fini dell'esame, era non già la data dell'effettivo versamento bensì quella dell'emissione del certificato di pagamento, in data non precisata nè dimostrata;

che, circa l'ulteriore 35% dovuto a montaggio ultimato, in primo luogo si aveva motivo di ritenere, in mancanza di una prospettazione di diverse causali relativamente al pagamento di complessive lire 44.438.000 eseguito il 21 luglio 1978, che tale percentuale fosse stata corrisposta con la precitata somma;

che, comunque, la data del montaggio totale non era stata dimostrata, né poteva accogliersi la domanda  diretta ad ottenere dal Ministero convenuto l'esibizione del certificato di ultimazione dei lavori di collaudo, perché, a tacer d'altro, tali documenti sono rilasciati anche all'appaltatore, per cui questo era bene in grado di produrli direttamente, con la conseguenza che, non essendo stati addotti particolari  motivi a fondamento della richiesta esibizione, non poteva pretendersi che fosse la controparte ad esibire la detta documentazione;

che le pretese dell'appellante, dunque, erano infondate, in quanto la società non aveva approvato le varie epoche dell'esecuzione degli obblighi contrattuali, in relazione ai quali sorgeva il dovere della stazione appaltante di versare gli acconti pattuiti;

che la chiesta consulenza tecnica, non essendo un mezzo di prova, era inidonea a dimostrare le dette circostanze, pur volendo trascurare il rilievo che la parte non poteva sottrarsi all'onere probatorio ad essa incombente per legge;

che, conseguentemente, l'appello andava respinto.

Contro la suddetta sentenza la Serena Prefabbricati S.r.l., già Serena Prefabbricati S.a.s., in persona del legale rappresentante dottor Giambattista Serena ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

Il ministero dell'interno resiste con controricorso.

Motivi della decisione.

1. Nella parte finale del controricorso l'Amministrazione dell'Interno, dopo aver rilevato "la genericità, oltre che l'ambiguità,  della condotta processuale della controparte, sostiene che essa avrebbe impedito alla corte d'appello di rilevare che l'eccezione di domanda nuova, sollevata con riguardo all'ulteriore somma di lire 12 milioni circa, richiesta in appello rispetto a quella domandata in primo grado, sarebbe stata fondata, perché l'ulteriore somma si sarebbe riferita a pretese scaturenti da titolo diverso, mai prima indicato, cioè dalla revisione prezzi.

Per questa parte, prosegue l'amministrazione resistente, "si richiama qui l'eccezione testè cennata oppure si propone ricorso incidentale condizionato".

Si tratta, peraltro, di una formula perplessa, come tale qualificabile per la stessa modalità alternativa in cui è prospettata, che non può assumere forma e contenuto di ricorso incidentale (necessario, invece, per impugnare la statuizione della sentenza che respinse l'eccezione di novità), il quale va perciò dichiarato inammissibile.

2. Con il primo mezzo di cassazione la società ricorrente denunzia violazione di legge in relazione all'articolo 360 comma I° numero 3 c.p.c. , con riferimento agli articoli 33,35 e 36 del capitolato generale di appalto per le opere di competenza del Ministero dei Lavori Pubblici, approvato con D.P.R 16 luglio 1962, numero 1063.

Premesso di aver chiesto la condanna del ministero al pagamento degli interessi moratori dovuti per ritardato pagamento dei corrispettivi maturati, in virtù del contratto di appalto 4512 del 30 luglio 1976, sostiene che, a norma degli articoli 4 e 13 del citato contratto, il pagamento della somme spettanti ad essa ricorrente si sarebbe dovuto eseguire "nei modi e termini stabiliti dall'articolo 13 del capitolato speciale".

Ai sensi dell'articolo 13 del capitolato speciale, la società appaltatrice avrebbe avuto diritto al pagamento di acconti in corso d'opera secondo le seguenti modalità:60% dell'importo totale dopo l'approvvigionamento in cantiere di montaggio di tutti materiali occorrenti; 35% dell'importo totale a montaggio ultimato; 5% dell'importo totale dopo l'esito favorevole del collaudo.

La società ricorrente avrebbe completato l'approvvigionamento dei materiali  il 2 gennaio 1978 e dovrebbe ultimato i lavori di montaggio il 10 febbraio 1978.

L'appaltante, per parte sua, avrebbe tardivamente corrisposto le somme dovute, onde sarebbe stato obbligato al pagamento degli interessi previsti dalla D.P.R. n. 1063 del 1962. La corte territoriale avrebbe respinto la domanda, affermando che l'articolo 13 del capitolato speciale, nel prevedere il versamento del 60% del prezzo a titolo di acconto, dopo l'approvvigionamento di materiali, non avrebbe specificato un termine preciso, onde sarebbe spettato al giudice valutare se l'avvenuto pagamento dovesse o meno considerarsi vietato.

Questa tesi, tuttavia, sarebbe errata.

Ai sensi dell'articolo 2  del contratto 30 luglio 1976, l'esecuzione dell'appalto sarebbe stata subordinata alla piena e incondizionata osservanza del capitolato speciale di appalto, restando in pari tempo stabilito che al rapporto si sarebbero applicate le norme contenute nel capitolato generale di appalto per le opere di competenza del Ministero dei Lavori Pubblici, approvato con D.P.R.  16 luglio 1962, numero 1063.

Gli articoli 33,35 e 36 di tale capitolato, nel disciplinare il pagamento delle somme dovute a titolo di acconto o di saldo, prestabilirebbero i termini, contemplando, in caso di loro inosservanza, l'onere per l'appaltante di corrispondere gli interessi di mora, nella misura e con le modalità previste dalla citata normativa.

L'obbligo di pagare gli interessi di mora sorgerebbe senza necessità di preventiva diffida e/o messa in mora dell'appaltante medesimo.

Non potrebbe perciò essere condivisa la tesi della corte romana, secondo cui l'articolo 13 del capitolato speciale avrebbe previsto il versamento dell'acconto pari al 60% del prezzo, "senza specificare un termine preciso", sicchè sarebbe spettato al giudice valutare se l'avvenuto pagamento dovesse o meno considerarsi in ritardo.

Il termine, infatti, sarebbe stato predeterminato dal contratto, in forza del richiamo al capitolato generale, che del contratto stesso sarebbe stato parte integrante.

Con il secondo motivo la ricorrente denunzia ancora violazione della citata normativa dell'articolo 2697 c.c..

Nell'affermare che il pagamento del 60% del prezzo sarebbe stato tempestivo, sull'errato presupposto che sarebbe spettato al giudice compiere tale valutazione, la sentenza impugnata avrebbe definito rilevante non già la data dell'effettivo versamento, ma quella dell'emissione del certificato di pagamento, data che non sarebbe stata precisata nè dimostrata.

Tuttavia, l'articolo 35 del capitolato generale disciplinerebbe: a)  i termini entro i quali deve essere emesso il certificato di pagamento; b)  i termini entro i quali deve essere emesso il titolo di spesa a favore dell'appaltatore.

Nella fattispecie - diversamente da quanto ritenuto dalla corte romana -  la società Serena Prefabbricati avrebbe fornito la prova:  1) di aver ultimato presso il cantiere di montaggio l' approvvigionamento dei materiali  entro il 2 gennaio 1978; 2) di avere ultimato i lavori entro il 10 febbraio 1978.

In pari tempo la ricorrente avrebbe fornito la prova della data dei pagamenti eseguiti dal Ministero dell'Interno.

Invero:

a) La prova della data entro la quale i materiali sarebbero stati approvvigionati  sarebbe stata fornita mediante la deposizione del teste Sartoretto Giovanni;

b) La prova della data di ultimazione dei lavori sarebbe stata fornita mediante la produzione, quale allegato sub 5 della citazione in appello, del certificato di ultimazione dei lavori;

c) La prova delle date dei pagamenti eseguiti dal ministero sarebbe stata fornita mediante la produzione dei mandati di pagamento.

Non sarebbe rilevante, dunque, la mancata precisazione della data di emissione del certificato di pagamento, sia perché l'articolo 35 del capitolato generale sanziona, con l'obbligo della corresponsione di interessi di mora, anche l'altra data di emissione del certificato di pagamento, su questo punto comunque il Ministero sarebbe incorso in ritardo, sia perché l'onere dell'impresa appaltatrice, ai sensi dell'articolo 2697 c.c., sarebbe stato quello di provare i fatti costituenti il fondamento delle domande proposte, onde avrebbe dovuto dimostrare le date contrattuali (approvvigionamento dei materiali e ultimazione dei lavori) nonché la data dei pagamenti eseguiti dalla stazione appaltante, mentre l'onere di eccepire l'esistenza di atti idonei a modificare i termini di decorrenza degli interessi sarebbe ricaduto sul ministero, ai sensi dell'articolo. 2697, comma II°,c.c..

Sul punto nessuna eccezione sarebbe stata sollevata dall'amministrazione resistente e nessuna prova sarebbe stata fornita ovvero offerta per dimostrare l'erroneità dei conteggi predisposti dalla ricorrente.

Con il terzo mezzo di cassazione, infine, sotto la rubrica " violazione dell'articolo 360 numero 5 c.p.c.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia; omesso esame ed omessa motivazione circa il contenuto dei documenti acquisiti agli atti di causa ", la società ricorrente censura la sentenza impugnata rilevando che essa, nel respingere la domanda di corresponsione degli interessi per il mancato tempestivo pagamento dell'acconto del 35%, ha opinato che detta percentuale, nella quasi totalità, sarebbe stata corrisposta con il versamento della somma di lire 44.438.000 eseguito il 21 luglio 1978, affermando altresì che la data del montaggio totale non sarebbe stata dimostrata.

Con tali conclusioni la corte territoriale:

a) Avrebbe omesso di tener conto dell'avvenuta produzione della copia del certificato ultimazione lavori, allegato sub 5 all'atto di appello e non contestato dall'amministrazione resistente;

b) Avrebbe omesso di considerare l'ulteriore documentazione prodotta dalla società appaltatrice, da cui emergerebbe che il corrispettivo dell'appalto era pari  (al netto i.v.a.) a lire 49.500.000, che alla società era stata corrisposta, tra il 21 luglio 1978 e il 22 gennaio 1987, la somma complessiva di lire 69.456.600, che il Ministero dei Lavori Pubblici (come da allegato 6 all'atto di appello) aveva quantificato in lire 18.458.500 il compenso ad essa dovuto a titolo di revisione prezzi, sicché la differenza esistente tra il corrispettivo contrattuale e la somma complessivamente versata dall'amministrazione era giustificata da quel titolo e dall'imposta dovuta ex lege in relazione alle fatture emesse dall'appaltatrice (come precisato nei conteggi allegati alla citazione), essendo peraltro noto che, ai sensi delle norme vigenti all'epoca dell'esecuzione dei lavori (articolo 1 della legge 21 dicembre 1974 numero 700) gli acconti per revisione dei prezzi andavano erogati unitamente ai pagamenti in conto per lavori eseguiti, onde in caso di ritardo trovavano applicazione gli  articoli 35 e 36 del d.p.r.  numero la 1063 del 1962.

Pertanto, prosegue la ricorrente, entro i termini pattuiti il Ministero dell'Interno sarebbe stato obbligato a versare sia il corrispettivo contrattuale sia la revisione dei prezzi e, poiché i corrispondenti importi sarebbero stati versati con grave ritardo, sussisterebbe il diritto della società appaltatrice a riscuotere gli interessi di cui ai citati articoli 35 e 36 del capitolato generale, diritto che non sarebbe stato posto in discussione se la corte d'appello avesse complessivamente esaminato la documentazione acquisita agli atti di causa.

I tre motivi del ricorso - che, essendo tra loro connessi, devono formare oggetto di esame congiunto - sono, per quanto di ragione, fondati.

È pacifico, in primo luogo, che all'appalto de quo fosse applicabile  la normativa di cui al D.P.R. 16 luglio 1962 numero 1063: lo segnala la stessa sentenza impugnata e il punto, peraltro, non è contestato dal resistente.

Del pari incontroverse sono le  modalità di pagamento del prezzo, come indicate in ricorso secondo le previsioni del capitolato speciale (art.13).

Ciò posto, si osserva che il tessuto argomentativo della sentenza impugnata si impernia sui seguenti passaggi:

1) L'articolo13 del capitolato speciale prevede la corresponsione del 60% del prezzo, a titolo di acconto, dopo l'approvvigionamento dei materiali, senza specificare un termine preciso. Spetterebbe dunque al giudice valutare se l'avvenuto pagamento debba o meno considerarsi in ritardo. E, nella specie, poiché il versamento sarebbe avvenuto il 21 luglio 1978, quindi circa sette mesi dopo l'asserito approvvigionamento, il pagamento sarebbe tempestivo, specialmente considerando che rilevante sarebbe non già la data dell'effettivo versamento, bensi quella dell'emissione del certificato di pagamento, data nel caso in esame non precisata nè dimostrata;

2) Quanto all'ulteriore 35% dovuto a montaggio ultimato, dovrebbe presumersi che tale percentuale fosse compresa (nella quasi totalità) nel pagamento di lire 44.438.000 eseguito il 21 luglio 1978. In ogni caso, la data del montaggio non sarebbe stata in alcun modo dimostrata, né potrebbe essere accolta l'istanza diretta ad ottenere dal Ministero convenuto l'esibizione del certificato di ultimazione dei lavori e del certificato di collaudo.

Di qui l'infondatezza delle pretese dell'appellante, che non avrebbe provato le varie epoche dell'esecuzione degli obblighi contrattuali, cui era correlato il dovere della stazione appaltante di pagare i pattuiti acconti.

Orbene, questo percorso argomentativo non si sottrae alle censure della ricorrente. Quanto al punto sub 1), la corte di merito, pur dando atto che la società Serena Prefabbricati chiedeva il pagamento degli interessi  ex articoli 35 e 36 del D.P.R. n.  1063 del 1962, ha nella sostanza del tutto ignorato tale normativa. Essa non pone in discussione il punto relativo al fatto che l'approvvigionamento di materiali occorrenti per l'opera sarebbe stato completato il 2 gennaio 1978 (sicchè, secondo la società, le sarebbe spettato l'acconto pari al 60% dell'importo totale dell'appalto). Anzi, sembra dare per certa la circostanza, del resto oggetto di una deposizione testimoniale, a sua volta ignorata dalla corte romana.

Quest'ultimo però afferma che, siccome dopo l'approvvigionamento dei materiali non era specificato un termine preciso, sarebbe spettato al giudice valutare la tempestività del pagamento eseguito il 21 luglio 1978 (per un totale di lire 44.438.000, superiore quindi al 60% al prezzo netto di appalto); ed aggiunge che tale pagamento sarebbe tempestivo, tanto più che rilevante ai fini di causa sarebbe non la data del versamento effettivo ma quella dell'emissione del certificato di pagamento, in effetti non dimostrata.

Così argomentando, tuttavia, la corte distrettuale non ha considerato che - ai sensi dell'articolo 33 primo comma del D.P.R. n. 1063 del 1962 - " Nel corso dell'esecuzione dei lavori sono fatti all'appaltatore (in base ai dati risultanti dai documenti contabili), pagamenti in conto del corrispettivo dell'appalto, nei termini o nelle rate stabilite dal capitolato speciale ed a misura dell'avanzamento dei lavori regolarmente eseguiti ", mentre il secondo comma aggiunge che " I certificati di pagamento delle rate di acconto devono essere emessi non appena sia scaduto il termine fissato dal capitolato speciale per tali emissioni o appena raggiunto l'importo prescritto per ciascuna rata ed in ogni caso non oltre 45 giorni dal verificarsi delle circostanze previste nel comma precedente ".

Pertanto, la corte di merito non avrebbe dovuto limitarsi a rivendicare una discrezionale valutazione circa la tempestività del pagamento, ma avrebbe dovuto effettuare tale verifica alla luce del disposto del citato articolo 33, interpretando l'articolo 13 del capitolato speciale nel quadro della normativa medesima ed accertando, in particolare, se il termine per l'emissione del certificato di pagamento non fosse predeterminato dal contratto col richiamo alla normativa del capitolato generale d'appalto per le opere di competenza del Ministero dei Lavori Pubblici.

Né può condividersi la tesi della sentenza impugnata, la quale sembra ascrivere all'attuale ricorrente la mancata prova della data in cui sarebbe stato emesso il certificato di pagamento (tesi propugnata anche dal Ministero). In realtà, la Serena Prefabbricati doveva provare le condizioni contrattuali, la data di approvvigionamento dei materiali e (a anche per quanto si dirà in prosieguo) la data di ultimazione dei lavori. Le conseguenze dei ritardi nei pagamenti degli acconti, e segnatamente la mancata emissione nei termini del certificato di pagamento, sono poi definite dall'articolo 35 del D.P.R. n.  1063 del 1962. Provati dalla società gli elementi suddetti, sarebbe stato onere dell'Amministrazione appaltante provare la data di emissione dei certificati di pagamento, perché tale emissione (se tempestiva) si sarebbe tradotta in un fatto estintivo della pretesa azionata dall'appaltatrice (articolo 2697, comma II°, c.c.), o, comunque, in un fatto impeditivo della medesima.

Pertanto sussistono, nei sensi suddetti, le violazioni denunziate dalla ricorrente.

Né vale opporre che, col pagamento del 21 luglio 1978, la società appaltatrice avrebbe ottenuto più di quanto le sarebbe spettato, avendo conseguito quasi per intero il corrispettivo dell'appalto. A parte ogni indagine - che esula dalla presente sede di legittimità - sulla composizione e sull'imputazione delle somme pagate in quella data, il versamento comunque non esonerava il giudice di merito dalla verifica circa la tempestività del pagamento nel quadro della normativa indicata, verifica in concreto non compiuta.

Quanto, poi, all'ulteriore acconto del 35% dovuto, sempre per l'articolo 13 del capitolato speciale, al montaggio ultimato, la sentenza impugnata ipotizza (" si ha motivo di ritenere ") che tale percentuale fosse compresa " nella quasi totalità " nella somma versata il 21 luglio 1978. Ma, a parte la formulazione ipotetica (e quindi perplessa) della motivazione, che si articola su un dato approssimativo (" nella quasi totalità ") laddove il giudice ha l'obbligo di pronunciare su tutta la domanda, si deve ripetere quanto si osservava poc'anzi, e cioè che, comunque, andava verificata la tempestività del pagamento alla stregua delle disposizioni del capitolato generale d'appalto, pacificamente applicabili alla fattispecie.

La sentenza prosegue, poi, affermando che la data " dell'effettuato totale montaggio non è stata in alcun modo dimostrata " e respingendo un'istanza di esibizione del certificato di ultimazione dei lavori.

Tuttavia, nel ricorso per cassazione si deduce che copia del certificato di ultimazione dei lavori (recante la data del 10 febbraio 1978) era stata prodotta, e il dato trova riscontro sia nell'atto di appello (che reca in calce l'elenco dei documenti esibiti, tra cui al n. 5 per l'appunto il certificato di ultimazione dei lavori), sia nell'indice del fascicolo di parte vistato dalla cancelleria, sia infine nello stesso controricorso. Nello svolgimento delle sue difese, poi, il Ministero dell'Interno nega che i lavori sarebbero stati compiuti il 10 febbraio 1978, sostenendo che essi avrebbero avuto termine non prima del 4 novembre 1978 e richiamando all'uopo una propria nota di pari data.

Il contrasto  verte su dati di fatto (attinenti peraltro ad un punto decisivo) che non possono formare oggetto di esame in questa sede. E' certo, comunque che la corte di merito ha omesso di esaminare e valutare la documentazione prodotta, trascurando così, tra l'altro, di considerare che, se era  stata certificata l'ultimazione dei lavori, non era sostenibile che non fosse stato dimostrato l'avvenuto montaggio. La sentenza impugnata, dunque, incorre altresì nel vizio di cui all'articolo 360, primo comma, numero 5 c.p.c., denunziato dalla ricorrente.

Conclusivamente - in accoglimento, per quanto di ragione, del ricorso - la detta sentenza deve essere cassata e la causa va rinviata ad altra sezione della corte di appello di Roma che, nel quadro delle precedenti considerazioni, procederà a nuovo esame della controversia e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa per l'effetto la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della corte di appello di Roma anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 30 giugno 1999, nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte suprema di cassazione.