SUBAPPALTO
E COLLEGAMENTO TRA IMPRESE
(Consiglio
di Stato, sez. VI, 28 febbraio 2000, n. 1056)
La
semplice possibilità dell'attribuzione di un subappalto non costituisce (senza
ulteriori concreti elementi di prova) indice di un collegamento (di fatto)
sufficiente a far scattare il divieto di partecipazione diretta alla gara per
le imprese che sono indicate, da altre offerenti, come candidate
subappaltatrici. In tale ipotesi, infatti l'offerta formulata dalla ditta che
partecipa alla medesima gara nella duplice veste di offerente non può essere
valutata come riconducibile ad un autonomo e distinto centro di interessi, in assenza
di elementi di prova idonei a dimostrare l'esistenza di un concreto accordo con
altra impresa partecipante volto ad alterare i risultati di gara.
Diritto
L'appello
è infondato.
Secondo
la tesi dell'appellante, l'impugnata procedura di aggiudicazione dell'appalto
(relativo alla realizzazione del centro smaltimento merci della Marsica,
indetta dal Consorzio per lo sviluppo industriale di Avezzano, con bando
pubblicato il 30 ottobre 1997) dovrebbe ritenersi illegittima per contrasto con i principi di trasparenza,
di piena concorrenza, di par condicio tra i partecipanti alle pubbliche gare e
di segretezza delle offerte, codificati dall'art. 1 della legge 11 febbraio
1994 n. 109, dall'art. 1 della legge 7 agosto 1990 n. 241 e dall'art. 97 della
Costituzione - per la circostanza che l'impresa risultata aggiudicataria ha
indicato tra i propri (possibili) subappaltatori, in base alla previsione del
bando di gara, un'impresa che (oltre ad essere stata indicata quale
subappaltatrice anche da altre imprese offerenti) ha partecipato direttamente
alla stessa gara (in a.t.i. con altra impresa), presentando, peraltro,
un'offerta che si è caratterizzata come prima delle offerte
"anomale", ed astenendosi inoltre, da fornire le richieste
giustificazioni (cosicché il risultato favorevole dell'aggiudicataria non è
stato posto in discussione o contrastato).
Nella
situazione sopra descritta, secondo l'assunto dell'appellante, avrebbe dovuto
ravvisarsi una forma di collegamento tra i soggetti partecipanti alla gara,
contrastante con i principi giuridici sopra richiamati.
Premesso
che - secondo tale assunto - una situazione di collegamento dovrebbe ravvisarsi
soltanto nelle forme di cui all'art. 2359 c.c. ma anche in forme che si
manifestano con precisi accordi contrattuali o addirittura in via di mero
fatto, nella concreta fattispecie sarebbe determinante la circostanza della
oggettiva convergenza di interessi (anziché di vera e piena concorrenza)
derivante dal fatto che la vittoria di una delle due ditte crea vantaggio anche
alla seconda.
La
semplice possibilità dell'attribuzione di un subappalto, in altri termini,
costituirebbe (senza necessità di ulteriori concreti elementi di prova) indice
di un collegamento (di fatto) sufficientemente a fare scattare il divieto di
partecipazione diretta alla gara per le imprese che sono indicate, da altre
offerenti, come candidate subappaltatrici; in tale ipotesi infatti le offerte
formulate dalla ditta che partecipa alla medesima gara in duplice veste - sia
come diretta offerente (anche nell'ambito di una associazione temporanea di
impresa) sia come subappaltatrice (designata) di altra e diversa offerente non
farebbe più capo ad un autonomo e distinto centro di interessi creandosi le
condizioni per una formulazione delle offerte "concordata" (o, quanto
meno, per una conduzione "convergente" della gara, nei confronti
delle vere e residue concorrenti).
La
tesi dell'appellante non trova fondamento, ad avviso del Collegio, nella ratio
e nella lettera della normativa dettata dal Legislatore per la disciplina del
subappalto in materia di opere pubbliche nonostante la ben nota connotazione di
sfiducia che circonda, per molteplici ragioni, l'istituto in parola. Tale tesi
appare, anzi in contrasto con il quadro normativo delineato dall'art. 18 della
legge 19 marzo 1990 n. 55 (recante "nuove disposizioni per la prevenzione
della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di
pericolosità sociale"), come modificato dall'art. 34 della legge n. 109
del 1994 (prima della recente ulteriore modifica apportata con la legge n. 415
del 1998 - art. 9 commi 67 e 68.
Tra
le varie condizioni prescritte dal suddetto art. 18 (comma 3) della legge n. 55
del 1990 per la possibilità dell'aggiudicatario di un appalto di oo.pp. di
utilizzare l'istituto del subappalto, vi era, in primo luogo, quella che i
concorrenti avessero indicato, all'atto dell'offerta, i lavori o le parti di
opere che intendevano subappaltare (o concedere in cottimo) ed avessero
"indicato da uno a sei subappaltatori candidati ad eseguire detti
lavori".
Detto
onere di indicazione normativa dei subappaltatori (già previsto dal D.Lgs. n.
406 del 1991 limitatamente ai lavori di alta specializzazione individuati con
D.M. ll.pp. del 31 marzo 1992) - ora abrogato dalla legge n. 415 del 1998
(Merloni ter) - non comportava, come può desumersi dal complesso della
normativa in parola, alcun preventivo vincolo giuridico ed economico tra
l'offerente e l'impresa "candidata" al subappalto; era previsto,
infatti che l'appaltatore provvedesse, entro il termine di 90 gg. dalla
aggiudicazione, al deposito del contratto di subappalto (presso il soggetto
appaltante) e - nel caso di indicazione preventiva di più di un candidato - la
trasmissione della certificazione attestante il possesso, da parte del subappaltatore,
dei requisiti di iscrizione all'Albo nazionale costruttori per categorie e
classifiche di importi corrispondenti ai lavori da realizzare. Da tali
incombenti non può certamente dedursi che la "candidatura" al
subappalto (condizionata, in ogni caso all'esito favorevole della gara per
l'offerente) comportasse un preventivo accordo (non richiedendosi neanche un
esplicito assenso ad essere considerato come candidato subappaltatore da parte
di quest'ultimo).
L'adempimento
di un preciso onere di legge (indicazione di una o più imprese
"candidate" - non in senso tecnico - subappaltatrici) non poteva,
invero, determinare di per sé alcun vincolo giuridico, e non sarebbe valso
quindi a ricondurre le offerte (autonome) della ditta indicata come subappaltatrice
e della ditta subappaltante, né ad un unico centro di interessi né ad un
concordato disegno (criminoso) di osservare una unitaria condotta di gara, con
conseguente possibile violazione di tutti i principi richiamati
dall'appellante.
Non
può condividersi l'argomentazione di quest'ultima secondo cui l'interprete,
tenendo conto delle precise limitazioni quantitative e formali poste dal
Legislatore nel disciplinare la possibilità di ricorre al subappalto, dovrebbe
valutarle con "estremo rigore", fino ad affermare che la
preventiva dichiarazione delle ditte
cui si intende ricorrere per la esecuzione delle opere per mezzo del subappalto
valga anche ad impedire che le stesse possano direttamente concorrere con
proprie autonome offerte alla medesima gara.
Tale
estremo rigore, affidato ad una mera presunzione di
accordiaudolenti,(ipotizzati al di fuori di specifiche previsioni normative, in
base ad opinabili logiche di interessi convergenti), non appare in alcun modo
giustificato ai fini della tutela di quelle esigenze di trasparenza, parità di
trattamento, segretezza delle offerte e conseguente piena ed effettiva
concorrenza, che il Legislatore ha voluto perseguire con la travagliata
disciplina concernente il subappalto nell'ambito delle procedure di aggiudicazione
degli appalti di opere e lavori pubblici.
Deve
ritenersi invero, che se l'inserimento di un'impresa tra i possibili
subappaltatori di un concorrente dovesse effettivamente precludere alla
medesima impresa, per il rispetto del sistema normativo vigente, la possibilità
di partecipare direttamente alla gara (in proprio o come componente di
un'a.t.i.) tale principio (di evidente dubbia legittimità, ove non fosse
richiesta anche una formale e consapevole adesione della impresa indicata quale
possibile subappaltatrice) non potrebbe non essere espressamente sancito da una
positiva previsione normativa.
Alle
(astratte) considerazioni generali sopra esposte deve aggiungersi che, nel caso
di specie correttamente, il giudice di primo grado ha esaminato le censure
proposte dalla ricorrente e ne ha escluso la fondatezza sulla base della
considerazione che non può ritenersi sufficiente, per l'alterazione del
corretto svolgimento della gara, l'eventuale sussistenza di una oggettiva
convergenza di interessi prospettata dalla ricorrente, non essendo stato
fornito alcun elemento di prova idoneo a dimostrare il collegamento delle due
imprese in questione, ossia la provenienza delle rispettive offerte da un
centro di interesse comune.
Deve
ribadirsi invero, che il collegamento tra imprese suscettibile di ricondurre
due o più offerte ad un unico centro decisionale - con conseguente automatica
violazione del principio di segretezza delle offerte - si può verificare solo
quando tra le imprese concorrenti vi sia una situazione di influenza dominante
di una sull'altra o perché esiste un controllo ai sensi dell'art. 2359 c.c. o
perché la comunanza di interessi è ravvisabile in una situazione di intreccio
degli organi amministrativi e di rappresentanza che faccia ritenere plausibi-le
una reciproca conoscenza o condi-zionamento delle rispettive offerte.
Anche
se il divieto di partecipazione contemporanea alla medesima gara di soggetti
caratterizzati dall'esistenza tra di loro di un rapporto di controllo (come
definito dall'art. 2359 c.c. - divieto che è stato sancito espressamente solo
dall'art. 10 comma 1 bis della legge n. 109 del 1994 introdotto dalla legge n.
415 del 1998 - poteva già ritenersi implicito nella ratio propria dell'intero
sistema normativo sugli appalti pubblici di assicurare il regolare svolgimento
delle gare attraverso la piena ed effettiva concorrenza delle imprese, e
trovava, peraltro un preciso riscontro nella norma contenuta nell'art. 13 comma
4 della legge n. 109 del 1994 (la quale fa divieto ai concorrenti di partecipare
alla gara in più di una associazione temporanea di imprese o consorzio, o di
parteciparvi anche in forma individuale, oltre che associata), non può non
ricordarsi che - anteriormente alla previsione espressa di cui al citato art.
10 comma 1-bis - la giurisprudenza di questo Consiglio (IV Sez. 12 gennaio 1999
n. 16) - ha avuto occasione di escludere che una situazione di controllo ex
art. 2359 c.c., potesse inficiare ex se l'esito della gara, ove non ne fosse
stata dimostrata l'influenza negativa sul suo corretto andamento.
L'esigenza
di intraprendere in senso rigorosamente restrittivo normative e principi che
comportano l'esclusione di un soggetto (pienamente autonomo ed indipendente sul
piano giuridico) dalla partecipazione ad una gara per la supposta situazione di
collegamento di fatto con altro soggetto partecipante alla stessa gara, in
assenza di elementi di prova idonei a dimostrare l'esistenza di un concreto
accordo volto ad alterare i risultati della gara, è stata, dunque, pienamente
osservata dalla sentenza appellata, che merita conseguentemente di essere
confermata per effetto del rigetto dell'appello in esame.
Si
ravvisano, tuttavia, giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le
spese e gli onorari anche della presente fase del giudizio.